(L. Di Bartolomei) Calciare un pallone è un gesto di gioia e di libertà assoluta. In questi anni mi è capitato diverse volte di incontrare o di ascoltare bellissime storie di pallone nelle quali i calciatori, per motivi diversi, si trovavano privati della loro libertà: Palla al piede, AtleticoDiritti, ASD Cara Mineo sono alcune delle tante iniziative che (a Roma e nel Paese) attraverso lo sport realizzano progetti di integrazione e inclusione sociale. Ma calciare un pallone altre volte può addirittura fartela perdere la libertà: pensate all’arcinota storia della nazionale nordcoreana che, dopo essere stata battuta dai dirimpettai sudcoreani, avrebbe rischiato il carcere a vita o la pena di morte come una notissima bufala lungamente circolata in rete sosteneva. E chi non ricorda«Fuga per la vittoria»? La trama la conoscerete tutti ma la storia è tratta dalla«partita della morte», un match giocatasi a Kiev il 9 agosto 1942 tra una mista di calciatori ucraini e una squadra composta da ufficiali della Luftwaffe.
Calcio, libertà, guerra e storia degli stati: un intreccio frequente nell’ultimo secolo. L’acronimo DDR qui da noi a Roma (quindi in Italia per chi come me sostiene che le colonne d’Ercole si trovino poco oltre il GRA) ha un significato ben preciso. Ma quando il ragazzo di Ostia era poco più che un bambino la parte orientale della Germania si chiamava così. E domenica scorsa con l’accensione di una meravigliosa istallazione luminosa, si sono celebrati i 25 anni dalla caduta del muro di Berlino. Die Mauer – simbolo della dittatura comunista che dopo la guerra aveva diviso il mondo in blocchi – era 127 km di filo spinato, terrore e speranza: quella di riuscire a scappare dal regime di polizia. Fuggire oltre la cortina, verso la libertà, anche se eri il calciatore più importante della squadra più odiata del paese: la Dinamo Berlino, la squadra della Stasi, la squadra di Erich Mielke.
La stagione 1983/84 era la nostra stagione, quella famosa: eravamo scudettati (come la Dinamo) e giocavamo in Coppa dei Campioni (come la Dinamo, anzi contro la Dinamo). Fu proprio durante una partita di Coppa (contro il Partizan) che Falcko Gotz insieme al suo compagno Dick Schlegel scappò. Sulla fuga a Belgrado si favoleggiò: in realtà i due approfittarono di un momento di disattenzione degli uomini di sorveglianza e riuscirono a salire su un taxi. Prima all’ambasciata tedesco-occidentale e poi un treno fino a Monaco. Dopo poco – e nonostante l’anno di squalifica inflittogli dalla FIFA – furono subito ingaggiati dal Bayer Leverkusen. Per il resto della stagione i giocatori e l’allenatore della Dinamo vissero in un infinito ritiro punitivo. Pochi mesi dopo la fuga di Gotz e Schlegel, a marzo dell’anno dopo, la Roma si trovò ad affrontare i tedeschi in due partite assai complesse. Vincemmo con merito. La nostra fuga si sarebbe fermata più avanti.