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GAZZETTA DELLO SPORT Sos arbitri. Aggressioni senza fine, ottobre rosso: 30 casi

Le proteste dei giallorossi con Rocchi
Le proteste dei giallorossi con Rocchi

(F. Ceniti) – Il paradosso è questo: gli arbitri non sono arbitri del loro destino. Chissà se ci pensano mentre preparano la borsa prima di dirigere una partita qualunque su un qualunque campo italiano. Accadeva e continua ad accadere: ragazzi insultati, aggrediti e picchiati per non aver concesso un rigore, ammesso che il rigore ci fosse. Dovrebbe essere sport, ma diventa cronaca. E l’Aia è corsa ai ripari, dotandosi di un Osservatorio per monitorare il fenomeno. Non esiste un organismo simile negli altri Paesi, già questo fa capire quanto sia malato il nostro calcio. Questione di mentalità: l’arbitro diventa il nemico sul quale sfogare frustrazioni e istinti animaleschi. I numeri sono impietosi: dalla stagione 2009-2010 a quella conclusa lo scorso giugno ci sono stati 2323 episodi di violenza (fisica o morale) subita dai direttori di gara. Duemilatrecentoventitre: forse scritto così fa ancora più effetto.

In ospedale – Un numero impressionante, come quello riferito alla sola stagione 2013-2014: 109 arbitri finiti in ospedale. Un allarme rosso reso più drammatico dalla tendenza dell’ultimo ottobre: circa una trentina i casi segnalati, compreso quello dell’arbitro «che avrei ucciso» per usare le parole del presidente (richiesto il daspo) dell’Atletico Cavallino, squadra pugliese di Seconda categoria diventata «famosa» dopo l’aggressione a un ragazzo con fischietto di 17 anni a opera di alcuni pseudo tifosi (e pure un calciatore) e soprattutto per le successive dichiarazioni di Rosario Fina (il numero uno del club) postate su Facebook. Il problema è proprio questo: si parla di questi fatti solo per alcuni episodi eclatanti, ma il fenomeno vergognoso continua la sua marcia e non trova ostacoli.

Sciopero promesso – Anche per questa ragione Marcello Nicchi, presidente dell’Aia, sembra aver perso la pazienza: «Adesso basta. La Federcalcio deve fare qualcosa e dare risposte concrete. Siamo di fronte a una vergogna nazionale. Non siamo disposti a subire nuove violenza, possiamo anche arrivare a gesti concreti. Quali? Semplice, ci fermiamo a partire dalla Serie A…». Più che una minaccia, sembra una promessa. Questa dichiarazione è «vecchia» di una settimana. Nel frattempo le cose sono rimaste ferme ai blocchi di partenza e dalla Figc non è arrivato nessun segnale. Le aggressioni, invece, continuano: dalla Puglia alla Lombardia. E i dati dell’Osservatorio sono una ferita aperta per chi pensa al calcio come divertimento e svago. Si scopre, ad esempio, che nel 2013-2014 le partite più a rischio sono in

Seconda e Terza (qui non ci sono retrocessioni…) categoria dove chi gioca è spesso over 30 e chi arbitra under 20. E il podio nero è completato dalle sfide nel settore giovanile, mentre non mancano incidenti anche in tornei e amichevoli. Insomma, più che un campo di calcio, quello dell’arbitro è un campo minato. Ci sono anche le regioni più a rischio: Sicilia (ben 98), Calabria, Campania, Veneto e Lombardia sono in testa alla classifica. E a picchiare gli arbitri ci pensano i calciatori nel 64% dei casi. Così non si va lontano: serve una nuova cultura sportiva, partendo dall’alto (basta risentire certi frasi sprezzanti di alcuni presidenti di A verso la categoria arbitrale oppure il putiferio scatenato per la direzione di Rocchi in Juve-Roma…) fino ad arrivare nelle scuole. Pierluigi Collina scrive: «Nessuno mi ha mai aggredito: sono stato fortunato». Ecco, facciamo in modo che non sia più una questione di fortuna

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