(M. Pinci / E. Sisti) – Con due dita nella presa (di coscienza), il giorno dopo Napoli, Trigoria è stata percorsa da una violenta scossa, avvertita forse fino ai “cancelli” di Capocotta, ancora affollati di bagnanti. Per evitare che una sconfitta come quella di sabato venisse archiviata nel file “normalità”, prima c’è stato un vertice fra Garcia e il ds Sabatini, poi il confronto con la squadra. Sono volate parole forti. Dopo il Bayern si fece lui carico del 7-1 subito. Stavolta no. Di umore nerissimo, stavolta Garcia se l’è presa con i suoi giocatori, ha voluto metterli di fronte alle proprie responsabilità: perché scendere in campo con l’atteggiamento remissivo di chi crede di poter vincere per diritto acquisito, svogliati, senza agonismo, cattiveria, personalità, senza fare nulla di quanto provato in settimana? Per gli antichi greci era un peccato, lo chiamavamo “hybris”, tracotanza. Il contrario dell’umile determinazione professata da Garcia. Quando mancano gli elementi che hanno reso la sua Roma così bella e spendibile, cosa resta della Roma? Garcia ha chiesto di non cercare alibi nella stanchezza. Però stanchi erano (era previsto un calo dopo due mesi o no?).
Pensieri che tradiscono delusione e rabbia, indeboliscono le motivazioni dei singoli, ingialliscono le aspettative del gruppo. Anche la città ha attaccato il suo re. Nella tristezza lo ha riscoperto semplice allenatore, capace persino di sbagliare (perché togliere Totti e Florenzi quando la squadra stava cominciando a schiacciare il Napoli?) Ma quante “Rome” esistono? Ce n’è una che gioca alla europea, con ritmi, recuperi palla e tagli che l’hanno resa celebre. C’è quella che si adatta a vincere col minimo sforzo di fronte a un’avversaria “morbida”. C’è quella che reagisce con irruenza e lucidità (Torino e Manchester). C’è quella completamente priva di energie che smarrisce equilibri e distanze in campo. C’è quella che non vede più la porta, si accanisce in personalismi, che non escogita soluzioni alternative per partite quasi compromesse (i tiri da fuori area, le punizioni, lo sfruttamento delle palle inattive, i cross alti per Destro, se c’è Destro, i colpi di testa, qualche idea più grossolana, poco elegante magari, come i cross dalla trequarti per fare un po’ di “caciara” dentro l’area avversaria). In stagione una sola partita è stata vinta ricorrendo a uno di questi piani B: quella di Parma. C’è infine quella che perdendo saldezza e fiducia evidenzia i limiti di alcuni suoi interpreti (gli esterni greci) e paga sin troppo l’assenza di Maicon. Tante Rome, basterebbe la prima.
Le statistiche regalano un’altra scossa. Raramente la Roma di Garcia batte le rivali per lo scudetto. Nel biennio sotto la guida del francese la Roma ha giocato 9 scontri diretti raccogliendo 3 successi (Roma-Napoli 2-0 in campionato prima di Roma-Juve 1-0 e Roma-Napoli 3-2 di coppa Italia) e addirittura 6 sconfitte, tre contro i bianconeri e altrettante con la squadra di Benitez. In tutto 8 gol fatti e addirittura 15 subiti. Questa tendenza l’allenatore di Nemours se la trascina dietro dai tempi del Lille. Quando vinse la Ligue 1 perse contro entrambe le avversarie nella corsa al titolo, Lione e Marsiglia, vincendo 1 partita su 4. Negli ultimi 3 campionati francesi, Garcia ha raccolto 3 vittorie e 7 sconfitte negli scontri diretti, perdendo sempre contro chi avrebbe vinto il campionato: 2 ko su 2 gare con il Montpellier nel 2011/12, altrettanti con il Psg nel 2012/13 e — arrivando in Italia — con la Juve nel 2013/14. Nell’82/83 Liedholm perse entrambi i duelli con la Juve di Platini ma vinse lo scudetto. Magari Garcia si consolerà un po’. Mentre pensa al Bayern, avrà in testa il Barone.