(E.Sisti) – Roma, Roma, Roma, non «core de sta città», bensì luoghi di archeologica romanità in cui, dentro cui, sopra cui potersi esibire. Fatti apposta, o ridotti apposta così, per calare il calcio moderno fra le rovine. Incassato l’endorsement di Renzi alla cena organizzata venerdì sera per il “fund raising” del Pd, il presidente Pallotta prosegue il suo viaggio nella fantasia, nel quale l’americano trasognato prevale sull’imprenditore. Dopo averlo abbracciato, il premier gli ha sussurrato in un orecchio: «Sono molto contento di conoscerla, conosco il progetto dello stadio cui state lavorando, il sindaco me ne ha parlato spesso. Mi entusiasma, avete il mio appoggio e sono a vostra disposizione, di qualunque cosa abbiate bisogno». Poco prima, sempre a quella cena, senza cattiveria, aveva ammesso di detestare Obama e di essere sempre stato repubblicano (quindi si potrebbe azzardare che si trovasse alla cena sbagliata). Pallotta è così. Ancora non capisce bene il tifo, la politica, né le dinamiche del calcio che non vince (l’accusa indiretta a Garcia di aver fatto giocare le riserve contro il Bayern). Lui è cresciuto nel basket dei Celtics e quando era bambino, Red Auerbach, uno dei più grandi coach di sempre, regalò a Boston ben otto titoli consecutivi nell’Nba. Abituato troppo bene. Il 15 aprile del 2011, il giorno prima che il gruppo di Di Benedetto diventasse il nuovo azionista di maggioranza della Roma, disse: «So quanto pazzi sia- no i tifosi romanisti, ma sono preparato: voi non sapete quanto sia pazzo io…». Una pazzia tinta d’entusiasmo, simile a quella delle popolane romane che da dietro i banconi di Porta Portese, per spiegare che il prezzo della merce è bassissimo, urlano: «Oggi so’matta!!!». Con la sua dolce, turistica “pazzia”, Pallotta vede Roma come un set. Come il set che la città divenne per William Wyler nell’estate del ‘52, mentre con la cinepresa seguiva la vespa di Gregory Peck e Audrey Hepburn. La vorrebbe per sé. Ma purtroppo al Colosseo non si può giocare a pallone, non si può disputare una partita a 11. E non tanto perché è un’ipotesi assurda (come la seconda: «Facciamoci i pre e i post match!») e perché sotto il monumento, come hanno precisato dall’ufficio del Ministro Franceschini, scorre un fiumiciattolo sotterraneo che spesso esonda (il San Clemente) e nuove pavimentazioni sarebbero a rischio. Non si può perché l’arena del Colosseo è lunga 86 metri e larga 54. Al massimo si potrebbe organizzare un calciotto. Gli americani prendono le misure a modo loro. Per Mark Twain il Colosseo era «lungo 300 metri». Così ieri, dopo l’incontro con il sindaco Marino in Campidoglio, che si è augurato che i lavori per il nuovo stadio possano iniziare a giugno 2015, Pallotta ha fiutato l’affare numero due: il Circo Massimo: «Giochiamo lì i top match!». Eccoci al punto: il vero spettacolo è lui, non è Roma che Jim vorrebbe ridisegnare in ottica “showtime”. Lo spettacolo è questo elegante signore delle nuvole che andrà a giocare a Tor di Valle ma già gli manca il “centro”. Non diciamogli che un campo di basket entrerebbe perfettamente dentro il Pantheon. Con disincanto, travolto dalla bellezza, lui insisterà pensando proprio a Twain: «Quando il Colosseo era il teatro di Roma, Roma era la padrona del mondo». Questo sogna Jim, una Roma padrona. Invece perde ancora 7-1 col Bayern. E, stia tranquillo, avrebbe perso anche al Circo Massimo.