Alla ricerca del talento perduto. Quando Antonio Conte ha accettato la proposta di Tavecchio sapeva, per sua ammissione, di affrontare una sfida davvero ardua. Ma l’allarme lanciato dopo le prime settimane di lavoro con la nazionale e ribadito con parole ancor più chiare ieri («dobbiamo lavorare con quel che abbiamo, e non abbiamo tantissimo…») è un grido di dolore che riassume anni di crisi tecnica. E chiama tutti, dai club a Leghe e Federcalcio, a un soccorso azzurro. Il confronto con la Croazia ha fornito risultati espliciti. L’1-1 certo, e un intaccato primato di audience per la nazionale azzurra: 10,1 milioni di telespettatori contro i 9.7 della Germania e i 4,7 della Spagna nei rispettivi turni di qualificazione, un titolo europeo che conferma l’ottimismo dell’advisor sull’impatto del marchio. Quanto a quello con la Croazia, Conte ha però tratto conclusioni diverse. L’assedio del secondo tempo, il possesso palla degli avversari, la differenza di tocco di palla hanno detto chiaramente quanto terreno abbia perso la nazionale quattro volte campione del mondo. La generazione passata è sfiorita, come dice la papera di Buffon; quella a venire non è mai sbocciata, come racconta il rapido ritorno a casa di Balotelli. Risultato, l’Italia che un tempo faticava contro il cosiddetto Brasile d’Europa ma non andava in soggezione tecnica, ieri ha dovuto subire. E far ricorso a tutte le armi possibili, ma non certo alla classe pura, per tenere botta. «I talenti non nascono tutti gli anni, ma sono sicuro che torneranno», ha detto Adriano Galliani. «Il nostro calcio non ne produce più, e bisogna trovare rapidamente una strategia», ha replicato Marotta. Sono le due anime contrapposte della Confindustria del calcio. Ora la Federcalcio di Tavecchio e Lotito si appresta a varare le prime riforme per il rilancio tecnico: rose ristrette con incentivi agli under e curricula per l’ingresso degli stranieri, e poi la nascita di centri federali per i dilettanti. Ricette immediate, per una crisi cronica: da Totti a Giovinco, il passaggio è esplicito. «Lippi mi ha ricordato che quando vinse lui il Mondiale la percentuale degli italiani impiegati nelle squadre di club era del 64 per cento, ora si è dimezzata: dobbiamo correre ai ripari», è stato l’allarme lanciato nei giorni scorsi da Conte. Totti, Del Piero, Gattuso, Cannavaro giocavano le coppe europee, «Zaza e Immobile invece fino a due anni fa erano in B. E andate a contare le presenze internazionali dei nostri undici giocatori e di quelli della Croazia», l’aggiunta del ct dopo il pari di San Siro. Gli annali insegnano che Conte è abituato a lavorare con i gregari, ma anche lui una volta alzata l’asticella iniziale chiede e apprezza i campioni. Per ora, la «ricerca di alternative» per costruire la nuova Italia ha solo due under 21, Sturaro e Rugani. Tra le novità dell’Italia sperimentale per l’amichevole con l’Albania ci sono Bonaventura (25 anni), Okaka (25), Bertolacci (23): età alle quali i colleghi tedeschi già vincono Champions o Mondiali. Per non parlare di Pellè (29 anni alla prima chiamata azzurra), Matri (29), Rossettini (29). Non è per luogo comune se si dice che il calcio italiano non è paese per giovani. Ma le cause? «Non abbiamo più fame», la risposta esplicita di Gianni De Biasi, il ct italiano dell’Albania che domani affronta gli azzurri a Genova. «L’ho capito a Tirana – racconta – Da quasi tre anni vivo e alleno lì: hanno la voglia che avevano i nostri padri, di assicurare un futuro ai figli. Per noi la ricchezza e il benessere è stato un soporifero. Ci siamo accasciati. Dico in tutti i campi, ma mi limito al calcio: i nostri ragazzi hanno poca fame e troppi videogiochi, i talenti nascono lì dove si corre in 22 dietro a un pallone sporco, magari anche in 30…Le favelas brasiliane o argentine, la Croazia che ha solo 5 milioni di abitanti e tanta voglia di futuro». E la ricca Germania? «Vero, verissimo – conclude amaro De Biasi – Ma loro sono diventati campioni programmando. E penso anche all’Islanda, un piccolo paese che con un progetto ha scalato ottanta posizioni del ranking Fifa. In Italia invece la parola progetto è sconosciuta: non esiste». Anche se per trovare l’idea giusta, in fondo, non servirebbe neanche scomodare un Proust.
Fonte: Ansa