(A.Catapano) – L’ultimo terremoto giudiziario potrebbe mandare in pezzi lo stadio di Tor di Valle perfino prima che diventi un progetto definitivo. Almeno fino al nuovo anno e a patto che, nel frattempo, il limitato sostegno politico di cui gode si allarghi e superi il Raccordo anulare. Col rischio, sempre più concreto, che solo un commissario straordinario di nomina governativa possa rimetterlo sui binari giusti.
TUTTO FERMO Ma procediamo con ordine. La maxi inchiesta su mafie e appalti della Capitale ha prodotto un effetto tecnico immediato: le dimissioni (a ieri sera solo annunciate) del presidente del Consiglio comunale, il Pd Mirko Coratti, bloccano i lavori dell’assemblea, che in questa settimana avrebbe provato a discutere e votare la delibera di Giunta sull’interesse pubblico del progetto Tor di Valle (ma solo dopo aver affrontato sei delibere urbanistiche cronologicamente più «anziane »). Oggi la Conferenza dei capigruppo si riunirà per convocare una seduta straordinaria del Consiglio dedicata all’inchiesta e alla necessità di «trasparenza » (con la partecipazione del procuratore Pignatone), poi, incassate le dimissioni di Coratti, scatteranno le procedure per la nomina di un nuovo Ufficio di presidenza del Consiglio, che richiederanno almeno una decina di giorni (in cui, sostanzialmente, l’assemblea governerà solo l’ordinaria amministrazione). In questo contesto, e con il bilancio previsionale del 2015 alle porte, è molto facile ipotizzare che di stadio non si riuscirà a parlare fino a nuovo anno.
PIANGE IL TELEFONO Ammesso che per quel giorno il consenso sul progetto di Parnasi e Pallotta — che oggi sembra un po’ deboluccio per un’opera da un miliardo di euro — si sia rafforzato a tal punto da resistere agli umori della piazza e alle conseguenze politiche di questa inchiesta, anche le più nefaste. Perché se Marino per qualcuno è perfino rafforzato da questo scandalo, il Pd romano ne esce quantomeno azzoppato. Ecco perché tra qualche giorno potrebbe rivelarsi addirittura vitale per il progetto rivolgersi al Governo. Del resto, a Palazzo Chigi aspettano da tempo una telefonata.