(M. Pinci) – Quando si vince si vince insieme, quando si perde spesso si perde da soli. Non fa eccezione la Roma, e nemmeno Rudi Garcia, a cui a differenza del connazionale De Coubertin la «certezza di essersi battuti bene» decisamente non basta. Ventiquattro ore dopo, l’eliminazione dalla Champions League non fa meno male: Pallotta non ha salutato la squadra negli spogliatoi, Trigoria è rimasta in silenzio, anche la festa di Natale in una villa di Roma Nord s’è consumata in tono minore, mentre dall’altra parte della città i tifosi laziali festeggiavano i carnefici dell’odiata Roma, il Manchester City ospite a Formello. La sconfitta ha sollevato il tappeto sotto cui si era nascosta la polvere di divergenze che da mesi dividono Rudi Garcia e la dirigenza romanista. Non certo rotture insanabili, ma punti di vista ben diversi nella programmazione e costruzione della squadra.
«Servono giocatori più forti per raggiungere il livello del City», diceva a fine partita l’allenatore francese, ignorando (o no?) come solo poche ore prima Pallotta avesse virtualmente chiuso il mercato in entrata di gennaio (Sabatini invece assicura «reperiremo in altro modo le risorse per fare mercato a gennaio, potrebbe arrivare un centrale. Strootman? Via solo per una proposta indecente»). La Roma è la squadra italiana che in estate ha speso di più, 57 milioni, con saldo negativo per una quindicina. Ma non tutti nella direzione che avrebbe voluto l’allenatore. Tante scelte sono state condivise, da Keita al flop Cole, bocciato già nella tournée americana e nemmeno in panchina col City. Ma Garcia avrebbe gradito avere soprattutto Cuadrado, prima scelta per l’attacco. Anche al ds Sabatini piaceva eccome, ma ha virato sul più comodo Iturbe per non rischiare di perdere entrambi. Il tecnico voleva due portieri di pari livello e sondò la disponibilità del transalpino Ruffier, rimasto invece al Saint Etienne. Per la difesa, e ancora di più dopo l’addio di Benatia che Garcia avrebbe voluto trattenere, la Roma non è riuscita a regalargli Marko Basa, difensore 32enne del «suo» Lille. Perché i soldi chiesti dai francesi – circa 6 milioni – Sabatini ha preferito spenderli per assicurarsi Sanabria e Uçan, ventenni costati 10 milioni – per riscattare il secondo ne serviranno altri 11 – che non trovano spazio nemmeno in panchina. Destino identico a quello già toccato al croato Jedvaj, che il Leverkusen rileverà per 12 milioni.
Un vero strabismo manageriale: a Sabatini piace scommettere e possibilmente vincere, come successe con il brasiliano Marquinhos, plusvalenza da 27 milioni due estati fa. A Garcia piace vincere rischiando il minimo e non ama svezzare ragazzi in via di formazione. La sua richiesta di «giocatori forti » si scontra però non solo col passato ma anche con il presente: il nome più caldo del mercato romanista è quello di un altro baby, il 17enne argentino Ponce. Mentre un altro argentino, Iturbe, colpo più caro dell’estate italiana per 22 milioni, mercoledì nella gara più importante era in panchina. Accanto a De Rossi, il giocatore più pagato della serie A dopo il rinnovo da 6 milioni all’anno firmato con gli americani. Ed è solo l’ultimo, grottesco paradosso.