(E.Sisti) – Roma nun fa’ la stupida, non stasera. Non c’è alibi, non c’è scelta, non c’è un cuore alternativo da utilizzare in caso di cattivo funzionamento dell’originale, non ci sono scappatoie. Non si vede niente all’infuori di una partita esplosiva e romantica: solo quella aprirebbe la porta degli ottavi senza aspettare notizie del Cska, ottavi che a modo loro sono un piccolo paradiso, per due mesi puoi permetterti il lusso di guardarli da lontano, toccarli senza rischiare di lasciarci le penne, assaporarli, prepararli e augurarsi che durante l’avvicinamento nessuno si faccia male, Strootman torni ad essere se stesso, qualcuno arrivi a gennaio. Non si può parlare di motivazioni supplementari: più di questo il calcio non può offrire. Però paura, sopravvalutazione o sottodimensionamento dell’avversario possono sempre presentarsi (la Roma è capace di tutto). Ci sono finali che tecnicamente non lo sono. Roma-City è una di queste.
«Giocheremo per vincere», dice Garcia. In realtà ad entrambe potrebbe bastare un pareggio, ma ciò non attenua quella sensazione “terminale”, da ultimo respiro, non sminuisce l’angosciosa, affascinante emozione di sentirsi lì, a un passo dall’attraversare lo “stargate” della fase a gironi, sapendo che dopo, dovesse essere festa, ci si ritroverà su un altro pianeta, si parlerà un’altra lingua, la lingua secca e velenosa dell’eliminazione diretta: «Andare avanti vuol dire mettere la nostra intensità in campo, di cuore, di gambe e anche di testa, perché potrebbe rivelarsi anche una gara tattica. Dopo il sorteggio, non dimentichiamolo, avremmo firmato per essere qui a giocarcela con qualche carta decente in mano». Una delle due, fra poche ore, sarà stata declassata in Europa League o magari nemmeno lì, ancora più sotto, nel nulla europeo. Garcia e la sua Roma, ogni tanto Rometta, ogni tanto eccellente meccanismo moderno, hanno il serbatoio pieno: solo che qualcuno, di nascosto, aggiunge spesso zucchero alla benzina e il motore s’inceppa, le gambe si fanno viscose, la testa sfarfalla, gli equilibri scompaiono. Stasera Garcia, memore dello sventramento della squadra effettuato per il Sassuolo, rimetterà in campo gli uomini che fanno ufficialmente la differenza (Maicon, Nainggolan, Keita, Totti, Gervinho), unitamente a Ljajic, a Florenzi quando c’è e a Pjanic quando gli va. Fisicamente la Roma dovrà farsi sentire come collettivo, non potendo farlo negli uno contro uno, dove il City, con più centimetri e chili addosso, si fa preferire, a occhio e croce, come qualunque altra squadra di Premier.
Per la Roma ballano più di 10 milioni, tanto vale l’accesso al “knockout round” di Champions. Ieri Pallotta era a cena con i dirigenti del City a Trastevere, c’è in ballo anche un possibile interessamento dell’Etihad per il nuovo stadio. Il City non ha mai vinto in Italia, la Roma una sola volta, nella disgraziata stagione 2004/5, che in Europa iniziò con il sangue dell’arbitro Frisk sul prato dell’Olimpico durante Roma-Dinamo Kiev, la stagione in cui sulla panchina si sedettero ben cinque allenatori (Prandelli, Voeller, Sella, Delneri e Conti), non è approdata agli ottavi. Diciamo buon segno.