(D. Dallera) – Dov’è finito quel Rudi Garcia che bucava schermo, giornali, radio e web per spontaneità e originalità di pensiero? Al suo arrivo a Roma aveva colpito e sorpreso per libertà di giudizio. Da qualche settimana, invece, si presenta un Garcia che si attacca a qualsiasi banalità, a qualsiasi scusa, parole già ascoltate e già lette, contagiato dalla tipica malattia del nostro calcio, per giustificare eventuali battute d’arresto della sua bella Roma. Rivogliamo il Garcia di una volta. La sua faccia vissuta, ma ancor di più le sue parole, mai gettate al vento, avevano conquistato tutti, non solo i tifosi giallorossi. Analisi accurate, verità scomode confidate con eleganza, rispetto dell’interlocutore, scuse poche, saggezza tanta e anche originalità di pensiero, come quella frase sulla «chiesa riportata al centro del villaggio», dopo la vittoria nel suo primo derby. Non amava cavalcare l’onda popolare. Una lezione per tanti colleghi più portati alla banalità e propensi a piagnucolare per eventuali torti subiti. Ecco invece il nuovo Garcia: per esempio, quello delle ultime 24-48 ore, incapace di riconoscere che quel rigore gentilmente fischiato dalll’arbitro Di Bello contro l’Empoli era più falso dei soldi di Monopoli, non è un bel vedere, né un bel sentire. Non faccia l’allenatore italiano che attacca l’arbitro quando perde, che conta i centimetri sul fuorigioco, che vede congiure ovunque, che nega anche l’evidenza. Se il rigore di martedì, che ha consentito alla Roma di qualificarsi ai quarti di Coppa Italia ,è stato molto generoso, perché ostinarsi a dire, come ha fatto Garcia, anche davanti a una moviola facile da interpretare, che sì, quel rigore c’era? Insistere in questa versione così lontana dalla realtà porta a due risultati. Primo: far arrabbiare ancor di più l’Empoli. Non se lo merita. Secondo: la voglia di sintonizzarsi su «Chi l’ha visto?» con la speranza di ritrovare il grande, vecchio Garcia. Quello vero.