(F. Monti) – Il 5 settembre 2012, di fronte alla richiesta del Coni di riscrivere lo statuto della Figc, con riduzione dei consiglieri da 27 a 20, il presidente dell’Aia, Marcello Nicchi, aveva reagito così all’ipotesi di uscire dal governo del calcio: «Dovete vergognarvi; l’Aia non si tocca». Alla fine, grazie all’allora commissario ad acta, Giulio Napolitano, aveva vinto lui, rimasto in Consiglio ex officio con diritto di voto (sul modello Fifa), come 21° componente. Ma Nicchi, che guida gli arbitri dal 2009 (secondo mandato), non ha mai smesso di atteggiarsi a contro-potere rispetto alla stessa Figc, dimenticando che gli arbitri dovrebbero offrire un servizio alle squadre. Lo si capisce dai toni che usa anche contro chi contesta in tono civile le decisioni dei suoi associati e, soprattutto, da come continua a opporsi agli inviti a ridurre le spese, visto i tagli del Coni ai contributi.
Gli arbitri costano alla Figc 51 milioni all’anno (solo la Spagna spende di più) e l’Aia è l’unica componente alla quale è stata data la piena autonomia nel contenimento dei costi (8%). Nicchi, anche nell’intervista di ieri di Francesco Ceniti (Gazzetta dello Sport), ha ribadito l’atteggiamento ricattatorio nei confronti della Figc di altre occasioni. In sintesi: «Ci tagliano i soldi, ma vogliono la qualità». In realtà, il presidente Tavecchio (non votato da Nicchi l’11 agosto) aveva soltanto spiegato di aver chiesto a tutti di spendere meno; di aver suggerito designazioni mirate in Lega Dilettanti (con riduzione del chilometraggio); di aver proposto una miglior distribuzione delle risorse per arbitri e assistenti. In più ha deciso di puntare sulla tecnologia sulla linea di porta, per abolire gli addizionali, che costano troppo e che non vengono preparati in maniera adeguata da chi dovrebbe, anche perché i raduni non sono più quelli dei tempi di Collina. In questi mesi, Nicchi, che fa anche il designatore-ombra, ha irritato i vertici federali (e quelli del Coni), anche perché sta facendo l’impossibile per garantirsi un terzo mandato, abbassando il quorum richiesto per la conferma (da 67% a 55%). In un clima da campagna elettorale permanente, ha assicurato che non toglierà nemmeno un euro alle sezioni. Quelle che devono votare. Un grande. Finché dura. Magari poco