(S. Marchetti) – A volte era costretto a dormire in soggiorno o in cucina insieme con qualcuno dei suoi undici fratelli e sorelle, perché in quella casa di tre stanze di Abobo, uno dei quartieri più poveri e malfamati della capitale Abidjan, spazio per tutti faticavi a trovarlo. Ma al piccolo Gervinho andava bene lo stesso, perché gli bastava un pallone per essere felice e sognare di sfondare un giorno nel calcio, come avevano fatto altri ragazzi africani prima di lui. Ed è stata proprio questa determinazione a portarlo via dalla Costa d’Avorio nel 2004 e a trasformare Gervais Lombe Yao Kouassi nel campione di oggi, quello che la Roma ha strappato all’Arsenal nell’estate del 2013 per 8 milioni di euro e che prima ancora aveva fatto faville nel Lille dopo due stagioni al Le Mans.
FAMIGLIA Un campione che non ha però dimenticato le sue umili origini «perché sono stati quei posti dove sono nato e cresciuto ad ispirarmi e a darmi la giusta motivazione per migliorare la mia vita ed avere successo nella mia carriera», come racconta al tabloid «The Sun» alla vigilia della sfida con la Guinea, che segna il debutto degli Elefanti nella Coppa d’Africa 2014 (l’altro romanista Keita sarà invece impegnato in Mali-Camerun, in programma sempre oggi). «Eravamo in dodici fratelli e sorelle e vivevamo in tre locali, dormendo spesso in soggiorno e in cucina perché non ci stavamo nelle stanze – ricorda l’attaccante dalla banda nera (che si pensava fosse un vezzo ma che invece nasconde un’incipiente calvizie, ndr) –. Non era una vita facile, la povertà era ovunque, eppure, anche se in casa entrava solo lo stipendio di papà Emmanuel, che faceva il bibliotecario e prendeva 140 sterline al mese (pari a poco più di 180 euro, ndr), mamma Mariette riusciva a non farci mancare niente, né cibo né vestiti».
CARISMA Calciatore fra i più carismatici e rispettati della sua nazionale al pari dell’ex capitano Didier Drogba, nel 2006 Gervinho decise di sfruttare la storica qualificazione della Costa d’Avorio alla Coppa del Mondo per chiedere di porre fine alla sanguinosa guerra civile che da 5 anni stava distruggendo il suo Paese. E il messaggio raggiunse lo scopo. «La guerra civile è stata una delle pagine più tragiche della nostra storia – ammette il romanista – ma il calcio ha davvero fatto tanto per riportare la pace da noi, diventando il tramite fra la classe politica e il popolo. Io sono stato fortunato, perché nessuno della mia famiglia è morto negli scontri, ma purtroppo ho perso tante persone che conoscevo». Ed è anche per onorare il ricordo di quelle vite così drammaticamente perdute che Gervinho si è costruito una vita calcistica lontano dalla Costa d’Avorio, ma con l’Africa sempre nel cuore, «perché quello che sei non lo puoi mai dimenticare».