(G. Di Feo, C. Laudisa) – Maglione, sorriso magnetico, dialettica diabolica: Mino Raiola tutto pare tranne che uno degli agenti che comandano nel calcio, eppure lo è. Ha Pogba, Ibra e Balotelli, ma non gli basta: voleva candidarsi alla Fifa, ha un fondo di investimento e mille idee. È venuto a trovarci e ci ha detto tutto. Sulla Gazzetta di ieri ha parlato dei suoi campioni, oggi di progetti. E per Milano ne ha uno speciale…
L’unione, per Raiola, fa la forza. Con lui in Gazzetta si passa a parlare di progetti e idee per il calcio, e l’agente dei campioni mette i panni del dirigente rilanciando una vecchia suggestione: Milan e Inter fuse in un’unica grande squadra. Si può fare? Arduo. Si deve fare? Per lui, Mino, sì.
SUL PROGETTO PER MILANO «Milan e Inter si devono unire. Sono state le più ricche del mondo ma non sono mai diventate dei club che possano andare avanti senza Berlusconi o Moratti. Quando Galliani mi fa “Eh, ma gli arabi…”, io rispondo: “Però ti è piaciuto fare l’arabo per 20 anni”. Oggi solo Londra può permettersi più squadre di alto livello, e pure lì arrancano. O arriva un cinese, di quelli che compreranno tutti gli asset più importanti al mondo, che dice “Prendo il Milan, pago e divento campione del mondo”, o le milanesi da sole non vanno avanti. E i tifosi o continueranno a vedere due mezze squadre o ne vedranno una sola che potrà davvero lottare con Real e Barça. Se unisci due società unisci pure i fatturati, invece di due club da 160 milioni ne fai uno da 320 e crei un marchio nuovo che può solo crescere. Ho cercato di comprare una società in Inghilterra perché credo che ci sia un marchio forte ancora non sfruttato: FC London. È come una marca: Londra, Milano, Roma, Madrid, Barcellona. Il Paris St. Germain, per esempio, vuole togliere St. Germain per essere solo Parigi. E a Milano bisogna fare una FC Milano, unica e identificabile nel mondo».
SUI VIZI ITALIANI «Balotelli è un prodotto tipico italiano. Cioé quel prodotto che ci rovina ma che ci ha fatto pure vincere quattro Mondiali. Qui vai a San Siro a vedere uno schifo di partita, il Milan vince 10 con un gran gol di Balotelli, poi leggi: Balotelli inesistente poi la risolve, e prende 7. All’estero non basta, devi giocare. Un giorno litigai con Van Gaal che disse: “Con me Inzaghi non giocherebbe”. Su Pippo puoi dire tutto ma ha fatto centinaia di gol. E all’Ajax gli avrebbero detto: “Gioca a ping pong”. Non penso che Ajax o Barça siano modelli ideali, semplicemente portano avanti solo certi tipi di giocatori. In Italia è più apprezzata l’individualità. Balotelli con Mancini andava d’accordo, lo usava per quello che sapeva fare. Con un Van Gaal che ti dice “Non me ne frega niente, sei parte di un meccanismo”, avrebbe problemi. In Italia dovremmo dare un’educazione calcistica. Vale anche per gli allenatori: se non parli inglese non capisci gli stranieri e non puoi esportarti. Un olandese passa la vita a pensare come lasciare l’Olanda. L’italiano si preoccupa che non muoia la mamma. Ma mica per lei, perché poi non ha chi gli fa da mangiare».
SULLA FIGC E GLI ESEMPI GIUSTI «Dobbiamo copiare la Germania. La Figc dovrebbe creare centri di eccellenza che sviluppano i ragazzi sotto ogni punto di vista: sociale, psicologico, tecnico. Fai un centro così per ogni provincia e da lì i club poi pescheranno. In Germania le squadre pro devono tesserare 500 ragazzi del posto, mica 5, o niente contributi. Pompi il movimento, insomma, con 50mila ragazzi che spingono dal basso e tu alla fine prendi i migliori. A Napoli uno deve ancora pagare per far giocare il figlio, è una vergogna. Dopo la chiesa, il calcio è la cosa più importante d’Italia, gli italiani sono capaci di scordarsi 50 anni di politici che ci hanno rubato soldi e non ci hanno dato sviluppo pur di poter poi mandare a quel paese l’arbitro alla domenica. Con questa passione, dovremmo essere all’avanguardia. Se uno vuole giocare a pallone, dovrebbe venire qua, come per la pasta o la pizza. Ma stiamo perdendo pure le pizze perché non abbiamo creato pizzaioli…».
SUI PRESTITI «Comprare e mandare fuori è una cavolata. Pensate a uno come Coman: se l’anno prossimo non gioca gli consiglio di andare via. Ma non in prestito, a titolo definitivo. Se sono un panettiere e compro la farina, non la mando da un altro panettiere per farla lavorare, me la lavoro io. Un tedesco non comprerebbe mai un giocatore per darlo in prestito: piuttosto non lo compra. In Italia bisogna provare a cambiare, e per farlo hai bisogno dei giovani: se a Ibra dici di fare le capriole, ti manda a quel paese. Se lo chiedi a un ragazzino, le fa. Il giovane in Italia è visto come un rischio, per me è una ricchezza: uno che fa tutto quello che vuoi se gli dai una chance. Mastour? Quel circo attorno a lui non mi piace. Bisogna gestire un ragazzo come se fosse il proprio figlio, e a mio figlio non lo permetterei».
SULLA CANDIDATURA ALLA FIFA «Era una candidatura seria, mi sono ritirato perché si è candidato Van Praag. È una vergogna che in Italia Tavecchio appoggerà Blatter. La federazione dovrebbe prima votare internamente. Anzi: il presidente della Fifa non dovrebbe essere votato dalle federazioni ma dai club. Anche quelli amatoriali: ogni club, un voto. E chiediamoci pure: visto che Europa, Asia e Africa sono forti, la Fifa a che serve? A organizzare i Mondiali? Non è meglio se ogni 4 anni ci vediamo e decidiamo, e il resto lo facciamo su Skype? Non capisco poi perché nessuno si scandalizzi per Blatter che si ripresenta. Platini non si candida perché ha paura di perdere, io no».
SU COME DEV’ESSERE LA FIFA «La federazione deve essere trasparente, dovrebbe promuovere il calcio aiutando bambini, disabili, oppressi. Non serve una Fifa che viene da te, organizza una festa, vende tutti i biglietti, se ne va e ti lascia coi debiti. La Fifa deve fare i Mondiali investendo con il paese ospitante. E con gli utili fare orfanotrofi, ospedali, strutture sportive. E poi, deve essere la Fifa a decidere se in Italia bisogna usare o no la tecnologia? Fallo decidere a Figc, FA e via così, decentralizza il potere. Van Praag è pacato, intelligente, politico. Mi ha visto crescere, era cliente al nostro ristorante, un posto importante ad Haarlem. Mi avrebbe aiutato, ma mi sono detto: se si candida lui, mi ritiro io».
SUL RUOLO DELL’AGENTE «Non puoi essere costretto a fidarti di uno per anni con mandato irrevocabile. È come se vado dal dentista e lui dice che non mi cura se non gli metto per iscritto che per due anni sono suo cliente: se sei buono resto, se mi fai male vado da un altro. Intermediari o procuratori? L’intermediario fa l’affare indipendentemente dalla contentezza del giocatore, il procuratore ne cura l’interesse. Io sono un procuratore. E mi da fastidio quando dentro l’affare si mettono altri. Se uno mi dice “Dammi il mandato di Pogba che lo porto al Real”, lo mando a quel paese. Se il Real lo vuole chiama la Juve, poi me e ci mettiamo d’accordo. Queste intermediazioni rendono il lavoro poco trasparente».
SUI FONDI «Il fondo se è fatto bene è un asset, altrimenti è un’estorsione. Le estorsioni sono così: io ti dò i soldi, garantiti per me, tu invece del 2% mi dai il 12% più il 50% sulla vendita. Se lo fai con me io dico: compriamo un giocatore insieme a 4, metti 2 tu, metto 2 io, se poi vendiamo a 10 si divide, se perdiamo si perde in due. E investire nel calcio è difficilissimo, sei in mano alle decisioni di un allenatore…».
SUL POTERE DELLE TERZE PARTI «Stavo prendendo una parte di Balotelli, poi il Liverpool ha deciso di fare da solo l’investimento e ho fatto soltanto il procuratore. Il rischio è mio, se va male mica chiedo i soldi al giocatore. Perciò lo faccio solo con i miei: non abbandono nessuno, e non posso avere un piede nella scarpa di Dio e uno in quella del diavolo. I fondi non sono un contropotere. Voglio vedere uno che va da Ibra a dirgli: oggi non fai gol. Il giorno dopo aprirò il giornale e leggerò che è morto. Il problema è questo: i club non hanno soldi, le banche non ne danno. E coi fondi, la Spagna si è salvata, il Portogallo pure. In Brasile i genitori fanno passare i ragazzi da un fondo all’altro ed è pericoloso perché poi non si crescono. Anche lì devono trovare allenatori: se vuoi fare i fiori, devi trovare chi fa i bulbi».
SU NAPOLI E ROMA «Sapete che stavo comprando il Napoli? Insieme a Pozzo, prima che arrivasse De Laurentiis. Poi l’affarone l’ha fatto Aurelio. Sono stato vicino anche alla Roma, prima degli americani. Avevo quasi firmato, non vi dico chi era il mio socio. Ma Unicredit aveva paura: abbiamo 3000 agenzie a Roma, dicevano, se diamo la squadra a te ce le bruciano. Il progetto di questa Roma però non mi piace: in quelli che mi piacciono i giocatori che prendi poi giocano. Sabatini è costretto a lavorare in un certo modo, ha un buon allenatore che però i ragazzi non glieli mette in campo».