(C.Zucchelli) – Crack di mercato o bidone? In una piazza che vive spesso stati d’animo opposti, sempre in bilico tra l’esaltazione e la depressione, non è inconsueto per i calciatori passare in poco tempo da una condizione all’altra. È quello che è capitato negli ultimi mesi a Juan Manuel Iturbe. Arrivato con il Dna del campione, pagato una cifra che molti, ma non Walter Sabatini, hanno reputato esagerata (circa 28 milioni di euro tra i soldi versati al Verona e le commissioni), doveva essere l’uomo del salto di qualità, quello che avrebbe consentito alla Roma di colmare il gap con la Juventus. Così non è stato, almeno al momento perché nel calcio non si sa mai. Ma ci sono segnali di risveglio, elementi da analizzare che fanno sperare.
FIDUCIA I presupposti per un’avventura esaltante c’erano tutti ma almeno finora non si sono concretizzati. Eppure l’avvio era stato incoraggiante: esordio con gol e assist in Champions contro il Cska Mosca, prima di uscire per un infortunio muscolare. Gol al rientro allo Juventus Stadium il 5 ottobre, prima di un nuovo stop. È stato in quel momento che la vita calcistica di Iturbe si è complicata: ha lasciato una Roma lanciatissima e sull’onda dell’entusiasmo, è tornato il giorno dell’17 contro il Bayern Monaco, il momento più basso della stagione, che ha contribuito a ridurre di molto l’apertura di credito della tifoseria nei confronti della squadra. E lui ci è finito dentro. Prima qualche sussurro, poi i primi dubbi sul suo reale valore, un trattamento che in passato è stato riservato a molti prima di lui e che ha costretto Sabatini e Garcia a scendere in campo per prenderne le parti. «Manuel è straordinario – ha avuto modo di dire il tecnico francese – perché ha una qualità unica: dà sempre il massimo, sia in allenamento sia in partita. Devo essere bravo io a trasmettergli la mia idea di calcio in modo che lui giochi di più per la squadra. Quando starà bene fisicamente non avrà problemi ».
LEZIONI Un po’ di bastone (poco a dire il vero) e parecchia carota. Una tattica che alla luce delle ultime prestazioni sembra essersi rivelata vincente. Così come si sono rivelate vincenti le continue lezioni tattiche a cui è stato sottoposto da Garcia. Se c’è stata una piccola luce nelle prestazioni di squadra non brillanti contro l’Empoli – in cui Iturbe è andato a segno diventando l’unico romanista a segnare in campionato, Champions e Coppa Italia – e contro la Fiorentina, quella è arrivata proprio dalla sua prestazione. Esplosivo ed altruista sì, come nell’azione che ha portato al gol del pareggio di Ljajic al Franchi, ma ancora impreciso sotto porta, come dimostra il gol sbagliato nella ripresa che avrebbe potuto regalare alla Roma tre punti fondamentali per la classifica e per l’ambiente. Quando riuscirà a mettere a posto la mira, Garcia avrà compiuto una buona parte del suo lavoro.
MODULI Non tutto però, perché a 21 anni e mezzo i suoi margini di miglioramento sono incalcolabili: dalla sua ha una duttilità che gli consente di giocare in tutte le posizioni e tanti padrini, da Messi a Toni fino al Tata Martino, che in passato hanno speso parole al miele per lui. Esterno a destra o a sinistra nel 433 e nel 4231, seconda punta nel 4312 che il tecnico francese ha sperimentato nelle ultime uscite e che sembra esaltarne velocità e esplosività, addirittura centravanti all’occorrenza. È capitato ad Udine, nel finale di partita, un ritorno al passato. «Giocare prima punta mi piace – le sua parole dopo la vittoria in Friuli –, l’ho già fatto al River, ma è il mister che decide». Come dire: «Io ci sono, in ogni caso». Proprio quello che ogni allenatore aspetta di sentirsi dire da un suo calciatore