(F. Ceniti) – E magari un giorno gli chiederanno pure di fare le previsioni del tempo… Scherziamo, ma non troppo. Ossessionati dai pochi gol segnati durante una partita (come se uno 0-0 non possa mai essere avvincente), la Fifa e l’Ifab hanno nelle ultime stagioni alzato sempre di più l’asticella del fuorigioco, chiedendo agli assistenti un super lavoro e diverse valutazioni, da compiere in un batter di ciglia, prima di fermare l’azione. La filosofia è molto chiara: una regola pilastro (ha appena compiuto 90 anni) del calcio è stata snaturata e depenalizzata con il solo scopo di favorire qualche rete in più. Gli effetti collaterali di questa cura, però, sono sotto gli occhi di tutti: una regola scritta male, corretta peggio e applicabile forse per dei marziani, ma non certo dagli essere umani. La confusione regna sovrana: si sono inseriti elementi soggettivi per valutare il fuorigioco. Questo vuol dire che uno stesso episodio può avere soluzioni opposte. L’esatto contrario dello spirito originario dell’offside che non lasciava margini di dubbio: sei davanti ai difensori? Gioco da interrompere. Sei in linea oppure dietro? Si può continuare. Adesso non è più così: ogni settimana siamo alle prese con polemiche e casi borderline, almeno 3-4 a giornata limitandoci solo alla Serie A. Ma cose è cambiato rispetto a prima? Quali sono le valutazioni chieste agli assistenti? Seguitici. Non sarà semplice…
UN ROMPICAPO Il guardalinee che alza la bandierina appena vede un giocatore al di là del penultimo difensore in qualsiasi parte del campo, non esiste più dagli anni Novanta. Fu una rivoluzione comprensibile: il fuorigioco era diventato una tattica esasperata. Ma poi si è andati oltre. Tanto per iniziare è stata cancellata la «luce» tra l’attaccante e il difensore. Un parametro chiaro a tutti per valutare il fuorigioco. Adesso basta la punta del naso è scatta l’offside. Gli assistenti (hanno anche cambiato nome) viaggiano sui centimetri e spesso sui millimetri da valutare a distanza di decine di metri. È una missione da umani? Non lo è. Tra l’altro dovrebbero tenere d’occhio anche il momento esatto in cui avviene il passaggio. Ma se guardano questa fase, si perdono il fuorigioco. E allora vanno d’esperienza: si concentrano sull’allineamento del fuorigioco e ascoltano il suono del pallone colpito dal giocatore, fissando nella loro testa la situazione e facendo poi la tara, perché sanno che l’occhio è sempre in ritardo. Già così è una roba da fenomeni: da sola varrebbe la richiesta, legittima, di tornare a valutare la «luce» e non i centimetri. L’Ifab, invece, ci ha messo nelle ultime stagioni dei carichi pazzeschi. In sequenza: un assistente deve fotografare la scena al momento del passaggio, poi aspettare per capire se un difensore annulli le irregolarità con una giocata volontaria, poi considerare se un giocatore è in fuorigioco passivo non partecipando all’azione, non influenzando un avversario anche se è nei pressi del pallone, ma senza contenderglielo e deve anche tenere in mente il portiere che può essere disturbato anche con il solo movimento. Ah, in più c’è la questione della visuale (ricordate il gol di Bonucci in Juve-Roma?): il portiere vede o non vede partire la palla e il giocatore lo disturba anche se sta fermo, ma è in una zona che ne limita il movimento di una eventuale parata? Ci siete ancora o avete smarrito la strada? Gli assistenti non se lo possono permettere: ogni maledetta domenica devono fare lo slalom per far rispettare una regola folle. Da cambiare. Come la Gazzetta sostiene. Nell’attesa che l’Ifab e la Fifa si rendano conto dell’assurdità, magari sarebbe gradito che presidenti, allenatori e giocatori riflettessero prima di sparare a zero per una chiamata sbagliata di pochi centimetri…