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IL TEMPO Calciopoli all’ultimo atto

luciano moggi
luciano moggi

(M. Villosio) – Calciopoli, ultimo atto. Oggi in Cassazione comincia il terzo grado del processo intorno a cui ruota il più devastante (e discusso) scandalo nella storia del calcio italiano.

L’ex dg della Juventus Luciano Moggi, condannato in appello a due anni e quattro mesi per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, ritrova nello stesso giorno al Palazzaccio l’ex ad bianconero Antonio Giraudo, che per la medesima accusa ha scelto il rito abbreviato. Tre ex arbitri (di nove tra fischietti e guardalinee portati inizialmente alla sbarra) dopo aver rinunciato alla prescrizione puntano tutto sulla Corte Suprema. Tra loro Massimo De Santis, che al pari di Moggi aspetta dai giudici l’ultima picconata a un castello accusatorio uscito fortemente ridimensionato – anche se non distrutto – dalle sentenze di merito. Il suo avvocato, Paolo Gallinnelli, è pronto.

Avvocato, la Cassazione è giudice di legittimità e non di merito. Perché allora tanta speranza?

«Quella di Napoli è stata una giustizia che definirei domestica, la Cassazione ha lenti più distaccate, più competenti e obiettive, in grado di valutare le contraddizioni di cui sono piene le due sentenze di merito, ciascuna al proprio interno e tra di loro. Io ho grande fiducia in questo passaggio, è pensando a questo momento che abbiamo rinunciato alla prescrizione».

Ma su cosa punterete?

«Sulle troppe illogicità presenti nelle sentenze. Su episodi gravi di travisamento della prova. Come nel caso dell’intercettazione telefonica tra uno dei designatori dell’epoca, cioè Bergamo, e l’allora vicepresidente della Federcalcio Innocenzo Mazzini che dice a Bergamo di dare un “colpetto di telefono” a “quello di Firenze”. La sentenza d’appello accoglie senza battere ciglio la tesi che quella telefonata dovesse essere indirizzata a De Santis, semplicemente perché le ultime quattro parole non vennero riportate nella trascrizione dell’intercettazione. Solo una delle forzature».

Altri esempi?

«La stessa sentenza di primo grado definisce l’ipotesi di alterazione dei sorteggi arbitrali “un mal riuscito espediente per generalizzare l’ipotesi accusatoria”. In pratica accusa i pm di aver puntato su quella carta strumentalmente, per poter contestare un reato di associazione. E io mi domando: ma se c’era una cupola che controllava tutto, perché non è riuscita a far modificare il regolamento delle designazioni ottenendo che fossero dirette, come peraltro avviene oggi? È solo un esempio. E poi c’è un aspetto finora mai sottolineato».

Quale?

«La sentenza d’appello ha negato il risarcimento danni alle società costituitesi parte civile. Alcune hanno ricorso in Cassazione, e almeno una di loro versa in pessime acque finanziarie. C’è anche chi specula su carriere distrutte da accuse inesistenti solo per cercare di sistemare le proprie finanze dissestate».

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