(E.Sisti) – La Roma è una lepre, la inseguono i dubbi e le proteste. Nel rincorrere emerge la confusione degli arbitri. Aveva vinto a Genova per una questione di millimetri (il fuorigioco fischiato a Rincon a pochi secondi alla fine). Per millimetri il pallone aveva toccato la mano di De Jong in Roma-Milan e sarebbe stato rigore a suo favore. Ieri lo spettacolo è tornato in scena, non richiesto. La Roma è passata a Udine. Sempre per lo stesso impercettibile motivo: millimetri. Un pallone colpito di testa da Astori al 17’ del primo tempo è rimbalzato proprio in quel punto maledetto, in quella diabolica zona d’ombra dell’eterno dentro o fuori (il pallone era dentro secondo un fermo-immagine). «Mi pare che basti, no? Che altro aspettiamo per aiutare gli arbitri? », ha detto Garcia invocando la tecnologia. L’Udinese non si è nascosta: «Perché l’arbitro prima ha fatto riprendere l’azione con la rimessa dal fondo e poi ha fermato tutto, ha chiesto lumi all’addizionale Maresca e poi ha deciso comunque di assegnare il gol?», s’interroga Stramaccioni. Pozzo allunga il sospetto: «Garcia sta raccogliendo, come un furbo italiano, i frutti delle sue lamentele». L’arbitro Guida ha visto giusto, ma la gestione del caso è stata commendevole: «L’addizionale mi ha detto che secondo lui non era gol», ammette Astori, «poi l’arbitro ha detto che l’aveva vista bene lui». L’episodio, cuore e sistema nervoso dell’intera partita (più il rigore “borderline” negato ai padroni di casa per il fallo di Emanuelson su Kone), ha avuto l’effetto di un mortaretto dentro una cabina telefonica. In pochi minuti i social si sono scatenati. E’ spuntato persino un tweet dall’account del premier Renzi (“parlare di furto è vivere fuori dalla realtà”), subito ritirato. Si dice che fosse la risposta a un assalto “juventino” del proprio entourage. Un affare di stato.
Dietro i risentimenti s’è disputato e forse nascosto un match povero di valori, che la Roma doveva congelare dopo un’ora e che invece ha portato, con un misto di masochismo e di difficoltà fisiche, sino all’estremo confine della possibile beffa. Sbagliare sotto porta con tale pervicacia equivale a strozzarsi con le proprie mani. Totti nel primo tempo, Pjanic, Florenzi ed Emanuelson nel secondo, avrebbero dovuto chiudere il conto. Non facendolo, hanno permesso all’Udinese di crederci sino alla fine, hanno lasciato che i bianconeri, col solo coraggio della disperazione, con pochissima qualità, senza un solo palleggiatore affidabile, schiacciassero i giallorossi dentro la propria area. Pareva di rivedere la partita di Mosca.
Le paure della Roma che concede campo e possesso palla sono l’ostentazione pubblica dei suoi attuali limiti, i tre punti sono l’alto guadagno di una giornata modesta a cominciare dalla prestazione degli attaccanti (Totti sempre spalle alla porta, Iturbe a testa bassa, Ljajic poco lucido), abbellita soltanto dal risultato e dal buon ritorno a tempo pieno di Strootman. Per il derby contro Felipe Anderson quest’arido patrimonio non potrà mai bastare. Serve la Roma vera, fiera e consapevole. Quella che appare ogni quattro partite.