(A. Bocci) «Claudio devi capire». Claudio per la verità non ha capito. Non subito, almeno. Carlo Tavecchio ha chiamato Lotito un’ora prima di entrare a Palazzo Chigi da Graziano Delrio ed è stata la telefonata più difficile da quando il ragioniere di Ponte Lambro è diventato presidente della Federcalcio. Lotito è stato lo sponsor di Tavecchio, la sua guida, la spalla su cui piangere nei momenti duri dopo lo scivolone su Optì Pobà. Ed è stato sempre Lotito, prima delle elezioni federali, a frenare Tavecchio, che in un momento di sconforto voleva alzare bandiera bianca. Ora invece il presidente della Lazio è stato dimezzato.
«Sto per annunciare al governo che farai un passo indietro». Silenzio, gelo. Lotito c’è rimasto male. Ma non è stato un tradimento. Serviva un segnale dopo che Pino Iodice, il d.g. dell’Ischia, aveva rivelato i contenuti della spregiudicata telefonata di quello che tutti ormai consideravano il vero padrone del calcio italiano. E Lotito, nei toni e nei modi, così si comportava. Spadroneggiando. Tavecchio, con la saggezza dei vecchi brianzoli, gli ha spiegato che il vento è cambiato. Ci sono le inchieste di Palazzi (ben due), la rabbia dei consiglieri offesi (Abodi e Nicchi), l’indignazione dell’opposizione (Tommasi e Ulivieri); senza contare la grave frattura che paralizza la Lega Pro. Non era possibile far finta di niente. Lo imponeva la ragione di stato, lo pretendevano governo e Coni, che sono stati informati nel vertice di martedì sera a Palazzo Chigi. Tavecchio ha deciso lunedì mattina ed è andato dritto per la sua strada. Non a caso Giovanni Malagò, anche lui presente al vertice, è stato solerte ad applaudire la svolta: «Voglio e devo fare i complimenti a Tavecchio, che ha saputo gestire con capacità e senso delle istituzioni una situazione che poteva ritorcersi contro la Federcalcio ».
E per placare l’ira dell’uomo al centro del mirino pare sia intervenuto anche Adriano Galliani, che di Claudio è amico. Lotito resterà consigliere federale, ma durante il prossimo Consiglio (nell’ultima settimana di febbraio) perderà la delega sulle riforme. Il cambio di rotta provocherà trambusti, non una vera e propria rivoluzione. Perché Carlo (Tavecchio) e Claudio (Lotito) resteranno amici, per quanto si possa essere amici in un mondo così. E sbaglia chi si è convinto che il dirigente più invadente del calcio italiano non sarà più centrale dentro il Palazzo. La vera rivoluzione arriverà, casomai, quando Lotito sarà abbandonato dalla Lega di serie A, la Confindustria del pallone, il motore dell’intero movimento. E per adesso non ci sono segnali che ciò avvenga. Di conseguenza sarà ancora lui l’interlocutore principale di Tavecchio nel cammino, lento e pieno di insidie, verso le riforme. Nei prossimi mesi però gli equilibri potrebbero mutare e senza Lotito le tensioni dentro il Palazzo federale attenuarsi. Tavecchio darà nuovo impulso alle riforme. In questo senso va letto il pranzo semi clandestino con Damiano Tommasi. «Perché per cambiare c’è bisogno di tutti», lo slogan della Federazione. Il presidente ha fretta: ha promesso le riforme e non dovrà deludere la sua maggioranza. Lotito, invece, fa l’offeso, ma già ieri ha ripreso a lavorare sino a mezzanotte, passando da una telefonata all’altra sui suoi quattro cellulari: «Non vi libererete di me», il grido di riscossa. Sarà ancora lui il padrone?