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GAZZETTA DELLO SPORT Da Andreotti alla Federcalcio. Claudio Magno il conquistatore

Lotito al seguito dell'Italia
Lotito al seguito dell’Italia

(S. Vernazza) Per capire la mappa del potere bisogna leggere i necrologi, diceva qualcuno. E allora «rewind», così parlò Claudio Lotito in memoria di Giulio Andreotti, alla scomparsa del «Divo» nel maggio 2013: «Conoscevo personalmente il presidente e i suoi familiari: è morto un grande statista, un rappresentante vero della nostra Repubblica».

LE ORIGINI Claudio è figlio e nipote di carabinieri, prende la maturità classica al liceo dei carmelitani, dalle parti di Ciampino, verso i Castelli Romani: i latinismi lotitiani vengono da quella stagione scolastica, anni in cui — parole sue — «presi un premio per una delle migliori cento pagelle d’Italia». A seguire laurea in pedagogia. Studi per nulla in linea con quello che viene dopo, la scalata al mondo dell’«imprenditoria romana», laddove per «imprenditoria romana» si intende l’intreccio tra economia e politica, l’abilità nel muoversi dentro i palazzi che contano. Il giovane Lotito si sposa bene, con Cristina Mezzaroma, rampolla della nota famiglia, dinastia di costruttori che poi metterà in parte le mani sulla Roma, salvo defilarsi e lasciare campo libero a Franco Sensi. Il trentenne Claudio è bravo a fare surf sulle onde del cambiamento epocale tra prima e seconda Repubblica. Nei mesi in cui la Dc evapora, lui svolta a destra, verso l’emergente Alleanza Nazionale. Le sue imprese dragano appalti negli enti pubblici, ramo servizi: pulizie, vigilanza. Lui negherà di avere padrini politici, lamenterà l’ostracismo dell’allora sindaco Veltroni, ma le sue frequentazioni dicono molto. Nella cerchia del giovane Lotito ci sono Guido Paglia, direttore in quota An delle relazioni esterne Rai, e Andrea Abodi, amico di Storace.

Sì, l’Abodi che oggi presiede la Lega di Serie B. Anni dopo, quando la popolarità di «Lotitus» diventerà straripante, il romanista Storace lo pizzicherà con la bonarietà del vecchio sodale: «Io Claudio me lo ricordo da giovane in tribuna all’Olimpico: esultava ai gol della Roma». Il primo incidente di percorso nel 1992, in piena Tangentopoli. Quattro colonne in cronaca sul Messaggero: «Arrestato un imprenditore, appalti miliardari. Bella presenza. 35 anni, pistola in tasca (arma «pulita», denunciata, ndr ) e telefonino (ai tempi oggetto per pochi, ndr )». Nella foto segnaletica un giovane Lotito, accusato di turbativa d’asta. A tirarlo fuori dal carcere, e a farlo assolvere, è Franco Coppi, l’avvocato che in qualche modo eviterà ad Andreotti la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Coincidenze.

IL CALCIO Lotito acquista la Lazio nel 2004. L’impressione è che non lo faccia spontaneamente, ma per acquisire benemerenze. Non è un mistero che quella laziale sia una tifoseria di destra, vicina ad An. Lo sanno tutti che uno dei figli di Andreotti, Stefano, è laziale, a dispetto di suo padre, noto romanista. Lotito, di nuovo parole sue, prende la squadra al «funerale» e la resuscita, anche grazie a una legge, che fin lì non ha utilizzato nessuno e che gli consente di rateizzare fino al 2027 il maxi debito col fisco, oltre 140 milioni. Lotito diventa un mito, ma l’idillio coi tifosi finisce presto, perché lui taglia i viveri agli ultrà che lo battezzano «Lotirchio». All’inizio è percepito come fenomeno di costume, un Ferrero prima di Ferrero. Le tv lo invitano perché strappa sorrisi col suo linguaggio aulico, Max Giusti lo imita, il cinema gli dà una parte nel remake de L’allenatore del pallone. Lui però è molto più furbo di chi lo sfotte e comincia la scalata. Resta invischiato in Calciopoli, ma in sede sportiva se la cava con un buffetto — inibizione di pochi mesi, tre punti di penalizzazione alla squadra — e dal penale esce grazie alla prescrizione. Passata la bufera, fa comunella con Adriano Galliani e si arrampica. Calcio e politica si mischiano come sempre, sono anni in cui Silvio Berlusconi è ancora signore e padrone, e l’astuto Lotito surfeggia «more solito». Lievita in Lega, irrompe in Figc. Durante un consiglio di presidenza della federazione, anno 2009, spulcia i conti, urla che sono troppi 115 mila euro all’anno per spese di lavanderia delle varie nazionali, critica i costi della cancelleria. L’allora presidente Abete lo rimprovera: «Tu non puoi andare di qua e di là negli uffici». Lui ha la replica pronta: «Io posso». Un avviso di sfratto. In Figc entra da padrone nel 2014, come sponsor di Carlo Tavecchio. Non sottovalutate Lotito. Si è preso mezza Roma, si è messo in tasca il calcio italiano e un giorno potrebbe pigliarsi il Paese.

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