(D. Stoppini) L’uomo di Coppa non gioca l’Europa League da quattro anni. Febbraio 2011, a Gervinho il piacere lo tolse un’altra olandese, il Psv: fuori il Lille dell’ivoriano e di Rudi Garcia, che però quella competizione la vivevano un po’ così. Con superiorità, ecco come. Perché quel Lille in Europa schierava le riserve, tanta era la voglia di vincere il campionato francese. L’impresa riuscì. E pazienza se costò l’eliminazione in EuropaLeague. Questa Roma e questo Gervinho non possono scegliere, oggi. Perché il momento è complicato. Perché non è tempo di scelte. Non è tempo di riposo forzati. Serve la Roma vera. E serve il vero Gervinho, non quello sceso dall’aereo e mandato in campo contro il Parma ancora con il passaporto in bocca. Quattro giorni in più valgono poco in assoluto, ma abbastanza per sperare che il campione d’Africa torni il campione che all’Olimpico spaccava le partite, oltre che i polmoni degli avversari. L’ultima vittoria in casa della Roma nei 90 minuti, contro l’Inter il 30 novembre scorso, porta (anche) la sua firma. Non è un caso.
Entusiasmo che Gervinho ha presto smarrito appena rimesso piede in una Trigoria completamente diversa da quella che aveva lasciato a fine dicembre. In un mese e mezzo d’Africa è cambiato il mondo giallorosso dell’attaccante. La Roma non sa più vincere. E non sa più segnare. Sostiene Garcia che «sul 75% delle azioni offensive della Roma c’è il piede di Gervinho»: che sia un limite o una dote, poco importa. È un fatto. È un fatto che 3 degli 8 gol europei della Roma siano dell’ivoriano. Che senza di lui, nel 2015, la squadra di Garcia abbia segnato 9 gol in 9 partite (supplementari con l’Empoli di Coppa Italia esclusi). Che con lui, in campionato, fino a dicembre, la Roma di reti ne abbia prodotte 23 in 14 giornate. Era una musica decisamente diversa. Musica che l’Olimpico ha voglia di tornare a riascoltare.