(E. Sisti) Il mantra: «La Roma per me non è un trampolino, sono qui per vincere trofei». Il timore: «La squadra ha perso i suoi automatismi». Il sogno: «Vorrei una linea più alta della difesa, così rischieremmo di meno». La certezza: «Non ho mai dovuto allenare a ranghi così ridotti per tanti infortuni a catena». La colpa: «E’ di tutti, me compreso, nessuno è perfetto». La ricetta (della nonna): «Basta tornare a vincere per guarire». Il complimento: «Sarà un onore ritrovare Zola da allenatore, lo stimavo da calciatore».
Quello che non dice: «Vorrei gente più tosta di cui fidarmi». Garcia sorride fuori, dentro non può, non ci sono le condizioni (neppure quelle di Totti, mezzo influenzato). Per la seconda in classifica più triste d’Europa, Cagliari è un crocevia, da lì è arrivato Ibarbo (o Ibrarbo) che al netto del polpaccio rovinato da valutazioni sbagliate o «da fatalità», costerà appunto quanto Ibrahimovic, un milione al mese. A Cagliari giocavano Astori e Nainggolan, in teoria due soggetti da riscattare soldi permettendo (e non è detto che ci siano). A Cagliari, nell’aprile scorso, in un impeto di efficienza, l’appena dismesso Mattia Destro realizzò una tripletta. Un disturbo in più per la trasferta. Della Roma preoccupa tutto, da ogni lato la si guardi. Il che non può che indurre all’ottimismo: peggio non può andare. C’è praticamente un’intera squadra fuori per malattia, eppure non sono tanto gli infortunati a preoccupare, quanto i “fortunati” che vanno in campo e non si capiscono più come prima, stentano a riconoscersi, spesso vanno in controtempo rispetto alla giocata del compagno, assaliti dal virus della deconcentrazione. «Più che mai in questo momento chiedo ai miei uno sforzo in più». In nome dell’antica coesione. E’ quel «metro in più a testa» che potrebbe anche valere tre punti di pura rigenerazione psicologica. Ma non è facile. La panchina è carica di “primavera”, Pjanic ha un ginocchio che non lo fa quasi mai allenare con serenità, Totti il naso chiuso. Garcia è senza cambi.
Per rivedere un po’ di luce la struttura della Roma dovrebbe tornare ad essere il «banco del mutuo soccorso» che era lo scorso anno, non la frontiera di Schengen che è oggi, per la quale tutti si sentono autorizzati a passare senza farsi riconoscere, da Zaza a Verdi. E Zola lo sa.