(A. Vocalelli) – Quella che doveva essere la sfida scudetto, traRoma e Juventus, si è trasformata in una partita completamente diversa. Nove punti sono tanti, troppi, almeno per ora, per continuare a guardare alla gara come uno spareggio per il tricolore: sarà piuttosto, per i giallorossi, una tappa importante per difendere il secondo posto. Perché le distanze sono molto più ridotte rispetto a chi insegue, con il Napoli che potrebbe salire ad appena meno tre, mentre si fa ancora più serrata la lotta tra le pretendenti all’Europa, con Pioli che batte il Palermo in una sfida elettrizzante.
Tutt’altro che bella invece la partita di Verona, con i padroni di casa che – reduci da tre sconfitte consecutive – ce l’hanno comunque messa tutta, mettendo cuore, orgoglio e determinazione per salvare la panchina di Mandorlini. Avrebbe dovuto fare di più, molto di più, invece la Roma, che ha messo insieme il sesto pareggio nelle ultime sette partite, palesando tutte le difficoltà del momento. Una squadra spenta dal punto di vista atletico, una squadra in difficoltà dal punto di vista psicologico, ma ancora di più una squadra che dal punto di vista tecnico è l’ombra di quella ammirata lo scorso anno. Ricordate? C’era una volta la Roma che giocava in profondità, in verticale, con i giocatori che chiedevano il passaggio in profondità ed erano disponibili – come dicono quelli bravi – ad attaccare gli spazi. Solo che per fare questo bisogna avere disponibilità, appunto. Essere disponibili a bruciare molte energie, perché sai di averne in serbatoio. E non per mancanza di voglia, ma semplicemente perché sai di non avere troppa forza nelle gambe, i giocatori della Roma fanno oggi esattamente l’opposto. Si propongono solo per avere il pallone tra i piedi, che è esattamente la negazione del calcio verticale. Tutti chiedono il pallone tra i piedi: da Keita a Nainggolan, da Pjanic a Ljaijc. Un virus che ha contagiato tutti: addirittura Gervinho che una volta sfruttava la propria velocità partendo da lontano e prendendo d’infilata gli avversari e adesso aspetta che gli venga addosso l’avversario per mettersi in moto.
Addirittura, per fare un esempio e non certo per fargliene una colpa, quello che ha fatto negli ultimi dieci minuti il giovane Verde, che veniva a prendersi il pallone tra i piedi per poi tentare di portare scompiglio. Insomma, una Roma avvitata nei suoi limiti che invece – ed è un paradosso – si perde nella discussione su Totti, l’unico che almeno ci prova. Un quadro piuttosto malinconico, anche se Garcia continua a parlare di fortuna e sfortuna. Invece di spiegare dove è finita la Roma, la vera Roma.