(M. Cecchini/A. Pugliese) Ci sono uomini – probabilmente stravaganti per i nostri ammalati Anni di Cuoio – per cui idee e principi valgono più del sacro calcio. Comunque la si pensi, Adem Ljajic e Sinisa Mihajlovic appartengono a questa categoria. Categoria di persone che possono discutere, separarsi, ma poi ricomporre e stringersi la mano, come accadrà domani, quando Roma e Sampdoria scenderanno in campo per inseguire (almeno?) un posto in Champions League.
Pensateci. Il 26 maggio 2012 l’attaccante giallorosso ha 20 anni e già un congruo passato nella nazionale maggiore, visto che – da buon «enfant prodige» – già dal 2010 è nel giro della prima squadra. L’avversario di turno è il più nobile che c’è – la Spagna campione del Mondo – e il senso di un giorno speciale lo dà anche il fatto che per la prima volta Mihajlovic sieda in panchina come commissario tecnico della Serbia. I due tra l’altro si conoscono bene, visto che Sinisa è stato allenatore di una Fiorentina che aveva Adem come stellina emergente e dalle enormi prospettive. Ebbene, la frattura si consuma sul valore delle radici, quelle che ogni inno nazionale prova ad esaltare. Prima della partita Ljajic, musulmano, nato a Novi Pazar, nel Sangiaccato, zona di confine col Kosovo e terra a maggioranza appunto musulmana, che storicamente ha sempre avuto rapporti difficili con Belgrado, si rifiuta di cantare l’inno della Serbia. Scoppia un mezzo scandalo e così e a fine partita, il nuovo c.t. annuncia subito che l’attaccante non sarebbe stato più convocato in nazionale finché, come da regolamento interno, non avrebbe intonato l’inno. Come dire, i principi sono più importanti del calcio e pazienza per chi non capirà. Nessuno dei due sarebbe tornato più sui propri passi. Ljajic avrebbe perso la Nazionale per quasi due anni, tornandovi solo nel marzo del 2014, mentre Mihajlovic avrebbe concluso la sua parabola da commissario tecnico senza disporre più di uno degli attaccanti più talentuosi della Serbia.
Di questo, tra l’attuale allenatore della Sampdoria ne è sempre stato perfettamente conscio. Non è un caso che, nella stagione in cui era alla guida della Fiorentina, Sinisa stimolava l’allora diciannovenne Adem dicendo essenzialmente tre cose: «Deve mangiare meno cioccolata, deve giocare meno alla playstation e si deve tagliare i capelli, perché in campo pensa più a sistemarsi il ciuffo che ad altro». Con un sergente di ferro del genere alle costole, nessuna sorpresa che per l’attaccante quella stagione in viola sia stata molto importante per la sua crescita. Non è un caso perciò che, una volta finita la «querelle» relativa all’inno, la pace sia stata sancita con facilità. Ljajic infatti di Mihajlovic ha recentemente detto: «È un uomo vero, che non nasconde mai le sue idee un giorno mi piacerebbe tornare ad essere allenato da lui». E l’allenatore ha ricambiato in questo modo: «È un attaccante fortissimo. Paradossalmente dovrebbe solo imparare ad essere un po’ più egoista»
Chissà che Adem non lo diventi già domani contro la Samp, inseguendo il suo decimo gol stagionale in giallorosso, consolidando così il suo ruolo di capocannoniere della squadra. La Roma, d’altronde, ne avrebbe davvero bisogno per resistere agli assalti al secondo posto che Lazio e Napoli stanno portando. Ma Mihajlovic non è tipo che fa sconti. A dispetto dell’ottimo rapporto che ha con capitan Totti, la cronaca racconta come sia uno degli allenatori più bersagliati dagli ultrà, che non gli hanno mai lesinato pessimi cori relativi all’etnia. Motivo? Facile. Storie di derby, visto che il tecnico blucerchiato – da calciatore – dopo due stagioni in giallorosso e quattro alla Samp, trascorse sei anni in biancoceleste diventandone uno degli idoli della tifoseria. Quanto basta per immaginare che anche domani all’Olimpico non trovi tappeti rossi. Ljajic, d’altronde, è già carico.