(A. Schianchi) Tutta la verità di Giampietro Manenti. Che, considerato il personaggio e le tante promesse non mantenute, non è detto che sia quella definitiva. Ma è il protagonista del momento, anche se Parma si sente presa in giro e umiliata da quest’uomo che il 9 febbraio è diventato presidente del club e ora lo tiene in ostaggio senza garantire i necessari investimenti.
Presidente, perché non ha ancora pagato?
«C’è la Procura che sta lavorando e io devo avere garanzie: non posso buttare via i soldi di altre persone. Se il 19 viene dichiarato il fallimento, il mio investimento finisce nella pattumiera».
E allora perché ha continuato a promettere che avrebbe tirato fuori il denaro?
«Perché il denaro c’era. E c’è ancora. Ma servono garanzie ».
Il 16 febbraio, però, lei non ha saldato gli stipendi dei tesserati.
«Il 16 febbraio alle otto di sera i bonifici sui conti correnti dei tesserati erano stati fatti attraverso la banca Monte Paschi. Il martedì mattina i bonifici sono stati annullati».
Che idea si è fatto di questo strano passaggio?
«Nessuna idea. Ho telefonato alla sede centrale di Siena, a Bologna, all’Ufficio Estero, ma nessuno mi ha dato spiegazioni».
Ma lei ha fornito ai giocatori un codice di riferimento bancario che risultava inutilizzabile.
«Il codice era stato generato nel momento in cui erano stati accettati i bonifici… Poi vorrei capire come mai un istituto di credito va a parlare con i clienti e non con l’interessato, cioè io, che ha ordinato l’operazione ».
Lei sostiene che il denaro non arriva perché ci sono problemi tecnici: di quali problemi si tratta? E’ più di un mese che siamo in attesa…
«Presto ci sarà il passaggio finale, ma consideri che alla Camera di Commercio il Parma risulta ancora di proprietà della Dastraso. Serve tempo perché siano formalizzate certe operazioni».
Pur non avendo immesso denaro nelle casse sociali per saldare tutte le pendenze, poteva tuttavia garantire qualche mensilità ai dipendenti, non le pare? Soldi di tasca sua, intendiamo.
«Abbiamo ripristinato tutti i servizi, dalla mensa alla lavanderia. Abbiamo rifatto il campo del Tardini. E avevamo la disponibilità finanziaria per la gara contro l’Udinese, poi rinviata, per la successiva trasferta di Genova e per la partita di domenica scorsa contro l’Atalanta».
Dalle sue tasche, però, non è uscito un euro.
«Garantisco che metteremo qualcosa per i dipendenti prima del 19 marzo. È già nel piano di risanamento».
Siamo sempre alle promesse. Perché la gente dovrebbe crederle?
«Perché ci sono i fatti».
Quali fatti, ci scusi?
«Ho un piano di risanamento che sarà difficile smontare anche da parte della Procura. E quel piano sarà la salvezza del Parma. A meno che i miei soci occulti non vogliano il fallimento…».
Chi sono i suoi soci occulti?
«Il presidente Tavecchio e il sindaco Pizzarotti. Si comportano come se facessero parte della società, allora tirino fuori i soldi. Tavecchio ha garantito che c’è un fondo americano disposto a investire nel Parma e ha detto che non intende parlare con me. Bene, ma il Parma è mio. E lui e Pizzarotti, al momento, stanno facendo come Totò e Nino Taranto che volevano vendere la Fontana di Trevi a un turista americano. Il club non è loro, che trattative vogliono intavolare?».
Curiosità: perché ha comprato il Parma che si sapeva essere gravato da tantissimi debiti?
«Era una situazione gestibile, poi il clamore mediatico ha fatto saltare il banco».
Tutta colpa di giornali e tv, insomma.
«Diciamo che è successo il finimondo e che dal 9 febbraio io non sono mai riuscito a lavorare».
Però è andato in Slovenia, a spese del Parma, e ha chiuso il conto corrente della Mapi Group presso la Raiffeissen Bank di Nova Gorica. Vero? Se sì, perché?
«Verissimo, ho chiuso il conto perché avevo problemi con la polizia. Molti giornalisti erano andati nella sede della banca a chiedere informazioni e in Slovenia pretendono la massima riservatezza».
E il viaggio a spese del Parma che non aveva nemmeno gli occhi per piangere?
«La fattura di 1.600 euro è intestata alla Eventi Sportivi (società controllante del Parma Football Club, ndr). Dovevo far stimare il marchio della società e il centro sportivo: in Italia mi avevano chiesto 65 mila euro per questo lavoro. Ne ho risparmiati 63.400».
Ci racconti come ha comprato il Parma.
«Contatto Pietro Leonardi domenica 1 febbraio 2015. Mi dice che la società non è in vendita. Il giorno dopo mi chiama lui e mi mette in contatto con Pietro Doca, l’amministratore della Dastraso. In poche ore sistemiamo tutto».
Dopo aver visto la montagna di debiti perché non ha deciso di portare i libri in tribunale?
«Oggi (ieri, ndr) sono stati consegnati alla cancelleria fallimentare i bilanci degli ultimi tre anni e lo stato patrimoniale del club a tutto febbraio 2015. Ma io credo nel salvataggio, a differenza dei miei due soci occulti».
Scusi l’insistenza: da dove arriverebbero i soldi?
«Dall’Italia e dall’estero».
E’ un po’ vago, non le pare? Non è che ci sia il rischio di riciclaggio?
«Nessun rischio. I soldi sono tracciati correttamente e non esiste neppure l’ostacolo dell’embargo dell’Unione Europea verso i capitali provenienti dalla Russia. Sono denari presenti già sul suolo italiano».
E quanti soldi sono?
«Vanno a copertura dell’intero debito netto».
Quindi 100 milioni di euro.
«Lo ha detto lei…».
Lo dice il bilancio. Comunque la domanda delle domande è: quando arriveranno?
«Il 20 marzo pagheremo».
L’asticella si sposta in avanti, una volta diceva sempre «domani»…
«Vediamo che cosa succede il 19 marzo con l’udienza pre-fallimentare. Se il tribunale dichiarasse il Parma fallito, avrebbe ragione il mio socio Tavecchio. Ma io non credo che vada così».
La accusano di essere un mitomane…
«Io sono arrivato e ho rotto le uova nel paniere. Se fosse rimasto della Dastraso, il Parma sarebbe fallito in poco tempo. Forse quello era il disegno. Ma con il fallimento i dipendenti vanno tutti a casa. Lo sanno Tavecchio e Pizzarotti?».
In città, quando è andato a incontrare il sindaco, ha rischiato il linciaggio dei tifosi.
«Mi sono vergognato per loro. Ma si rendono conto che se il Parma è in queste condizioni non sono io il responsabile? Comunque quell’assedio era stato organizzato e pilotato. Anche se non so da chi».
Dicono che dietro di lei ci sia ancora Ghirardi.
«Non conosco Ghirardi. E se fosse dietro di me, in questa situazione sarei un pirla».
Altra cattiveria sul suo conto: Manenti dormiva in macchina perché non aveva i soldi per l’albergo.
«Ho sentito anche questa. Guardi, a Collecchio ho la mia stanzetta. Per risparmiare non uso la televisione e ho staccato il frigo bar. Ma un letto me lo posso ancora permettere».