(F. Oddi) – Daniele Verde è un calciatore che ha un talento di cui lui stesso non si rende conto. Lo disse Rudi Garcia dopo la magnifica prova di Cagliari, all’esordio da titolare, lo conferma il diretto interessato, rammaricandosi che «non è un granché» il suo destro, che pure usa come pochi mancini sanno fare. O ammettendo di aver temuto di dover smettere, solo pochi mesi fa, quando non aveva la riconferma in tasca, dopo una stagione a guardare gli altri giocare, in Primavera. «E un bel po’ era anche colpa mia, che pensavo che il calcio fosse solo quello con la palla tra i piedi: correvo solo quando l’avevo io». La scorsa estate, in vacanza, quando le partite erano ancora lontane, matura la consapevolezza che mancava. «Mi sono reso conto che se non avessi cominciato con la giusta mentalità, il sogno si sarebbe interrotto, sarei dovuto andar via dalla Roma. Avevo paura».
Che sarebbe successo?
«Che forse avrei mollato il calcio. Auguro tutto il bene del mondo ai miei amici che stanno faticando per arrivare dove sono io ora, ma non so se ce l’avrei fatta a ricominciare e provare a risalire. Un altro ragazzo di Napoli che venne alla Roma con me, Serrone, è andato via, è passato all’Avellino, e ora ha trovato una squadra, e gioca in serie D».
Si guadagna anche lì.
«Io non so se ce la farei. Mio fratello, che ora ha 41 anni, giocava nell’Inter, perché all’epoca i miei genitori vivevano lì. Lo allenava Giacinto Facchetti, lo avrà fatto impazzire: mio fratello era una testa matta. Era arrivato in Primavera, ma era frenetico, reagiva subito, mi ha detto tante volte di non seguire la sua strada. Poi mio padre per lavoro è dovuto tornare a Napoli, lui da solo non voleva stare, è tornato e ha smesso».
Dopo lo scavino che ha fatto segnare Ljajic a Cagliari, non corre più questo rischio. E ha esultato come se avesse segnato lei.
«Non sta bene che sia io a dirlo, ma mi è venuta una gran bella giocata, non mi sembrava neanche vero. Diciamo che Ljajic, segnando, ha fatto sì che se ne parlasse di più: ho esultato per l’assist».
Una giocata da fantasista. E poi una da ala pura sul gol di Paredes, secondo assist della giornata. E sullo 0-0, un paio di spunti pericolosi col destro.
«Devo migliorarlo il destro, cerco di portarlo ai livelli del sinistro, o quasi. Come devo migliorare sul piano fisico. Sul colpo di testa, invece, facciamo prima a dire che c’è da iniziare da capo. A Cagliari avevo provato a fare le prime giocate col destro, proprio per non far capire la mia forza, e non dar punti di riferimento ai difensori. Magari nei Giovanissimi o negli Allievi gli allenatori lo dicono: occhio che quello è mancino, ma in serie A chi mi conosce?».
E Rudi Garcia a fine partita ha detto: «Verde ancora non si rende conto dei mezzi che ha».
«Io sono sincero: non so dove il mister li ha visti questi mezzi. Ovvio che posso solo ringraziarlo, e tanto. Ma non vorrei passare per sbruffone: conosco bene i miei mezzi, non so se riuscirò ad arrivare dove in tanti pensano che io possa arrivare».
Però, rispetto all’anno scorso, ne ha fatta di strada.
«Era il primo anno di Primavera: il momento più duro da quando sono a Roma. Il più bello è stato il primo, nei Giovanissimi, con Vincenzo Montella. Ero appena arrivato, pensavo a divertirmi, e lui, oltre a farci lavorare quasi solamente sulla tecnica, mi ha fatto capire come ci si comporta in un club professionistico. Cosa bisogna fare, per scalare la montagna».
Una montagna che poteva essere altrove: lei è di Napoli, lo voleva la Juventus, è arrivato alla Roma.
«Al Napoli non ho mai detto di no: semplicemente non mi hanno mai contattato, nessun provino, niente. Alla Juve dovevo andare, ma c’era la neve, e saltò il provino. Prima che ne organizzassero un altro, si fece sotto la Roma: c’erano Bruno Conti, Montella e Muzzi, mi presero subito, senza perdere tempo. Per una nevicata: evidentemente la Roma era nel mio destino».