Da senatori a rassegnati, in questa stagione così particolare e al ribasso della Roma tutto è mutevole, anche i leader, i titolarissimi che solo un anno fa erano osannati da pubblico e critica per le grandi prestazioni e per la sicurezza che infondevano alla squadra e all’ambiente. Il metodo Rudi Garcia, così compatto e vivace nella sua prima espressione italiana, si è dovuto reinventare con molte difficoltà e amarezza negli ultimi 3-4 mesi, segnati da infortuni, risultati da dimenticare, attacchi abulici e pareggite acuta in tutte le competizioni.
Tralasciamo dal discorso Francesco Totti, che leader è e sempre sarà nella sua maniera migliore, quella mostrata con i colpi e con la tecnica che anche a 38 anni e mezzo si fa sentire. Inutile chiedersi se la squadra va meglio con o senza Totti, visto che questo fenomeno arrivato alla sua 23esima stagione di Serie A in carriera con la maglia giallorossa sta dando più del previsto, a livello di gol e prestazioni, avendo scolpito con il suo timbro di qualità anche l’annata in corso (la doppietta al derby e il cucchiaio al City vi dicono nulla?).
Il calo di Daniele De Rossi invece ci spaventa non poco; sia chiaro, vogliamo bene a DDR, è un figlio di Roma, diverso da Totti per carattere e per quella leadership gestita in modo differente. Daniele è sempre stato uno senza peli sulla lingua, divenuto famoso più per la ‘vena al collo’ che si gonfia piuttosto che per la continuità di prestazione. L’involuzione del mediano di Ostia è sotto gli occhi di tutti, la resa fisica e mentale di ieri a Firenze ha sintomi di una definitiva discesa dal regno degli intoccabili. De Rossi non è più un senatore, non guida il centrocampo come invece faceva 10-12 mesi fa, con piglio, grinta e sensibilità. Oggi è uno dei tanti, ma il più delle volte è un escluso forzato, per una condizione che non vuole arrivare e per una innegabile crisi psicologica che in passato abbiamo intravisto con una certa persistenza, ma mai con questi campanelli d’allarme.
La Roma di Garcia di oggi ha bisogno dei leader, per rialzarsi e per guardare al futuro con ottimismo. Oggi Seydou Keita è il nuovo faro, anche se è preoccupante che solo un maliano di 35 anni, alla sua prima stagione romana, abbia più peso e volontà di De Rossi o di Miralem Pjanic per fare un altro esempio, osannato dai tifosi, ringraziato pubblicamente per la permanenza e per un rinnovo da 3,6 milioni netti alla faccia dei pressing parigini. Keita, gol a parte, si salva sempre, strepita in campo, protesta con gli arbitri e dialoga con il mister, tutte cose che il miglior De Rossi era in grado di fare nei suoi periodi brillanti, nell’era spallettiana, nella Nazionale di Lippi, e perché no anche un anno fa nella Roma delle 10 vittorie consecutive.
La caduta dei senatori prosegue: Morgan De Sanctis, leader della difesa per antonomasia, comincia a non farsi ben volere, tra le accuse ai compagni a Mosca e i litigi con Manolas dopo Roma-Juventus si sta scavando la fossa da solo, nonostante in campo sia quasi sempre tra i migliori come media-voto. Leo Castan e Kevin Strootman, leader per carattere e passione, sono stati fatti fuori dalla sfortuna e da problemi fisici considerevoli. Maicon anche ha ammainato la bandiera bianca da mesi, tra un ginocchio che scricchiola ed alcune dicerie non troppo professionali.
Ed ecco sorgere la grinta di Radja Nainggolan, uomo tutt’altro che d’ordine ma che prende sempre gli applausi per la forza messa in campo. Alessandro Florenzi che alza la voce come un veterano e si fa in undici per la Roma. Persino gente come Ljajic e Torosidis, fino a poco tempo fa considerati riserve o alternative di lusso, ora si comportano da leader più di altri. La Roma e le sue basi stanno mutando velocemente, e chi pianifica il mercato ed il futuro di questa squadra dovrà un tantino rivedere le priorità e gli ‘intoccabili’ sul proprio percorso.
Keivan Karimi (Twitter @KappaTwo)