(S. Carina) – Si può giocare male, commettere degli errori ed essere giudicato esclusivamente per quello che si fa (o eventualmente non si fa) in campo? A quanto pare per De Rossi non è più possibile.Il passaggio sbagliato che ha dato il via libera al gol di Ilicic (e l’essersi arreso in corsa) ha fatto scivolare nuovamente il nazionale azzurro ai minimi indici storici di gradimento di parte della tifoseria romanista. ‘Nuovamente’ perché quello di Daniele oramai è diventato un sali e scendi continuo. Per carità legittimo se si trattasse di giudizi tecnici: gioca bene viene applaudito, gioca male è criticato.
VICECAPITANO INCOMPRESO
Ma con lui c’è sempre qualcosa in più. Sarà perché è romano, tifoso, perché ha sottoscritto un contratto che lo ha trasformato nel calciatore più pagato della serie A o perché è vittima di un soprannome, ‘Capitan Futuro’, del quale lo stesso centrocampista avrebbe fatto volentieri a meno. «Ciao Francè, chi ti parla con il cuore in mano è Capitan Futuro, anche se questo soprannome per me ormai è una condanna perché ho capito che tu non smetterai mai», il suo videomessaggio lo scorso anno a Roma Channel per festeggiare il compleanno di Totti. Quel futuro che alla soglia dei 32 anni non si è mai materializzato in presente, trasformandosi lentamente in un boomerang difficile da schivare. Nella città del Vaticano che per un periodo è riuscita a far coabitare due Papi, da tempo non sembra possibile farlo con i due capitani della Roma, messi continuamente in contrapposizione quando in realtà il rapporto tra di loro è buono. Totti, però, sa farsi scivolare le cattiverie e le illazioni addosso. De Rossi invece assorbe tutto ed è incapace di isolarsi: vive e fiuta gli umori della piazza come pochi altri. E paga (anche) la propensione a schierarsi, a difendere qualche compagno inviso (Doni, Osvaldo che ieri ha rivelato un sms di Daniele, invidioso del suo gol sotto la curva del Boca), come accaduto nel recente passato.
INVOLUZIONE TOTALE
Premesso questo, l’involuzione del calciatore è evidente. Negli ultimi 9 mesi – caratterizzati, compreso il mondiale, da tre infortuni al polpaccio – De Rossi fatica nel ruolo cucitogli addosso qualche anno fa da Luis Enrique. Perché regista, negli anni di Spalletti e Ranieri (quando giostrava al fianco di Pizarro) o in Nazionale, vicino a Pirlo, ci giocava raramente. Con lo spagnolo, invece, avviene la trasformazione e lui perde quelle caratteristiche che lo hanno reso per 3-4 anni tra i primi centrocampisti al mondo. Sei, sei, sei, quattro e undici: è lo score di reti nelle 5 stagioni prima dell’avvento di Lucho. Zeman, al netto dei rapporti personali intercorsi tra i due, prova a riportarlo nel suo ruolo originario. Inutilmente. Arrivato Garcia, Daniele sembra vivere una nuova primavera. Probabilmente perché vicino a lui c’è Strootman, capace di sostituirsi all’azzurro in fase propositiva. Una volta che l’olandese si infortuna, tornano i problemi. Acuiti paradossalmente dall’acquisto di Keita. Paragonandolo al maliano, che gioca spesso e volentieri ad un tocco, De Rossi per Garcia (nonostante le smentite davanti alle telecamere) tiene troppo palla, abbassa in modo eccessivo la squadra facendola così inevitabilmente allungare. E non è un caso che la stagione si trasforma in un calvario: 8 gare saltate per infortunio, 5 in panchina, l’espulsione con il Sassuolo, 7 sostituzioni subite, 2 soltanto a risultato acquisito. A Rotterdam uno dei pochi acuti, guarda caso col 4-2-3-1 e nel vecchio ruolo d’incursore vicino al regista (Keita). Giovedì invece l’accusa più infamante: quella, secondo parte della tifoseria, di aver simulato l’infortunio e aver gettato la spugna dopo 20 minuti. Ieri intanto non si è allenato: salterà la Sampdoria (a forte rischio per la Fiorentina). Il suo futuro invece sembra scritto. E l’epilogo non è quello che lui per primo si augurava.