(A. Serafini) – Come se non fosse successo niente. Mentre i tifosi in contestazione si aspettano la decisione di far saltare qualche poltrona, la Roma punta di nuovo i piedi. Nessuno è pronto a dimettersi, nessuno vuole prendere una decisione che possa quantomeno garantire una scossa. Il muro della difesa è affidato ancora una volta a Walter Sabatini, schierato di fronte a microfoni e telecamere nella solita incessante protezione verso giocatori e tecnico: «Nessuno se ne andrà adesso perché altrimenti sarebbe vissuto come una fuga, vale anche per Garcia che rimarrà fino alla fine del contratto (giugno 2018, ndc). Poi al termine della stagione parlerò con la società per capire quali decisioni prendere. L’addio arriverà a fine campionato? È una domanda intrigante».
Nel frattempo il ds prosegue sulla stessa linea, accollandosi tutte le colpe per un essere stato in grado di migliorare la squadra a gennaio, quando senza dubbi ne aveva assolutamente bisogno: «Ho commesso un grave errore, la rosa doveva essere rinforzata in attacco e con le mie scelte non c’è stato alcun risultato. Purtroppo è una colpa che sta scontando sia il tecnico che il resto dei giocatori». In un eccesso di verità, l’ammissione arriva anche sugli obiettivi mancati: «Salah? Quello di oggi è da rimpiangere, un’altra responsabilità solo mia e che inserirò nella lista degli errori».
La decisione di non utilizzare il pugno duro quindi elimina anche la possibilità, richiesta a gran voce dalla piazza, di spedire tutti in ritiro. Una possibilità che non viene presa in considerazione: «Non ne vedo la necessità – ammette Sabatini – Una volta forse era utile per riunire il gruppo, ora si rischierebbe solo di creare un isolamento tecnologico, ognuno con telefonini e ipad». Ovviamente l’analisi della partita passa in secondo piano: «Siamo stati puniti da episodi, ma sono convinto che la squadra segua ancora totalmente l’allenatore. Poi valuteremo ogni situazione, non me la caverò gratis. Questo è sicuro».
Non molla un centimetro anche Garcia, che mentre certifica con lo sguardo la delusione del momento, prova a lanciare l’ultimo avviso prima di far partire la scialuppa. Un messaggio indirizzato dritto nello spogliatoio: «Chi ha la personalità e l’orgoglio per proseguire me lo dimostrerà, degli altri non mi interessa. Sono mortificato, ma non abbattuto, già da domani mattina tornerò a combattere». I termini utilizzati infatti hanno tutti la stessa matrice: nel momento peggiore della sua avventura romanista si comincia a fare la conta di chi ancora lo segue. Con la sensazione che almeno fino a giugno lui quantomeno ci proverà: «O molliamo o ci risolleviamo tutti alzando la testa. Nelle difficoltà servono i veri uomini e io andrò sicuramente in guerra. Mi sento arrabbiato, ma sicuramente motivato». Di sicuro gli avrà fatto piacere lo striscione e i cori che una parte della curva sud gli ha riservato come forma di sostegno, fatto che il tecnico non si aspettava: «Mi fa piacere, ma credo che per ripartire non servo certo io. Questa squadra ripartirà dai miei giocatori, ho fiducia in ognuno di loro». Di occasioni non ce ne saranno altre.