Il settimo episodio di Draw My Life, rubrica dedicata ai ricordi degli attuali calciatori giallorossi, dagli esordi della carriera fino all’approdo nella Roma, ha interessato il portiere giallorosso Morgan De Sanctis. L’estremo difensore, alla sua seconda stagione nella capitale, ha ripercorso la propria storia, le sue sensazioni e i progressi professionali mediante illustrazioni colorate in una video intervista pubblicata sul canale ufficiale di Youtube dell’As Roma. Come di consueto quando ad esser chiamato in causa è il numero uno romanista, non sono mancati ottimi spunti di riflessione. Queste le sue parole:
“Sono nato a Guardiagrele, un paesino nella provincia di Chieti, in Abruzzo, il 26 marzo del 1977. Sin da piccolo mi sono sentito attratto dai guantoni. Ricordo come fosse ieri il primo giorno in cui mi sono messo in porta all’età a 6 anni mi sono messo i guantoni nel campo dei frati a due passi da casa, il centro della porta mi sembrò il centro del mio universo, ero nato lì in fondo. Tra i pali provai subito un senso di serenità e adeguatezza.
Il mio percorso è iniziato con il Guardiagrele dove sono rimasto sino a 14 anni, poi mi sono trasferito al Pescara dove ho fatto tutta la trafila del settore giovanile sino ai 17 anni, quando ho esordito in prima squadra.
Quel giorno, sul campo neutro del San Camillo a Mare, mi trovai di fronte il Venezia di Bobo Vieri e il destino volle che parai un rigore al futuro attaccante della Nazionale: piedi a terra e cuore oltre l’ostacolo. La favola cominciava e io già capivo che per alimentare certi sogni non bisognava smarrire l’umiltà.
La mia professione mi ha consentito di viaggiare tanto e accumulare esperienze importanti: dalla Juventus al Napoli, passando per l’Udinese, il Siviglia in Spagna, il Galatasaray in Turchia, in parallelo tutte le giovanili dell’Italia fino alla Nazionale maggiore. Tante maglie per un luogo comune: il cuore dello spogliatoio, dove ho sempre cercato di entrare con rispetto nei confronti dei miei compagni, ricevendone altrettanto.
In molti mi accreditano di essere un leader. Questa strana parola chiama in gioco tante forze. Ricordatevi sempre che un leader non è il più bullo, né quello che detta le regole. Essere leader significa anteporre gli interessi del gruppo ai propri, significa difendere un compagno in difficoltà e, più in generale, la squadra all’esterno quando le cose non vanno come dovrebbero.
Anche per questo, due estati fa, ho scelto la Roma. Avevo diverse offerte ma quella sfida mi è sembrata irrinunciabile. A muovermi era l’idea di contribuire alla rinascita di un gruppo che aveva ricevuto tante critiche.
Anche in questa fantastica tappa, forse l’ultima della mia carriera da calciatore, ho portato con me mia moglie e le mie due figlie. Giovanna è l’unica donna della mia vita, con la quale sono stato fidanzato tanti anni, prima di sposarci. I giovani pensano che uno dei tanti privilegi dei calciatori sia quello di conquistare tante ragazze, ma la vera trasgressione nel 2015 è la normalità, ovvero essere alla stessa donna per sempre.
In questi anni ho coltivato molti interessi, mentre difendo la porta della Roma, cerco di fare altrettanto con i diritti dei miei colleghi nel ruolo di consigliere federale e consigliere AIC, l’associazione di tutti i calciatori che giocano in Italia. In questo ambito sono anche vicepresidente della Onlus Aic, un’organizzazione che tenta di aiutare ragazzi bisognosi i giovani sportivi meno fortunati, senza dimenticare gli ex calciatori a cui la sorte ha voltato le spalle. Sono quelli che la vita ha messo di fronte a una serie di calci di rigore; provare a pararne uno è un dovere, un impegno e una responsabilità”.