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IL FATTO QUOTIDIANO Ago avrebbe 60 anni, certi striscioni calpestano anche lui

Agostino Di Bartolomei
Agostino Di Bartolomei

(T. Rodano) – Ieri Agostino Di Bartolomei avrebbe compiuto 60 anni. E stato il capitano della Roma del secondo scudetto, nel 1983. Una leggenda anche per chi è troppo giovane per averlo visto giocare. Ha attraversato il tempo grazie alle parole colme di affetto e malinconia di chi ha vissuto la sua Roma e ai video su Youtube che ancora rendono onore al suo destro impressionante. E stato un capitano silenzioso ma dal carisma di granito, si è sgretolato dopo il ritiro e si è tolto la vita a 39 anni, il 30 maggio 1994. Esattamente dieci anni prima, Agostino segnò il primo rigore contro il Liverpool, in finale di Coppa dei Campioni. La Roma era in vantaggio: il punto più alto della sua storia sportiva. Dopo quel calcio, lui e la squadra hanno iniziato a perdere il filo.

Il giorno in cui si è ucciso, Luca Di Bartolomei aveva 11 anni. Oggi, quando parla di suo padre, lo chiama semplicemente “Ago“. “In privato era una persona aperta, solare. Può sembrare ridicolo dirlo, ma era pieno di vita. Aveva un’ironia tagliente e una forma di melancolia tipicamente romana, di chi è nato e cresciuto in questa città meravigliosa, a volte crudele. Quando si è suicidato aveva quasi l’età che ho io oggi. In fondo era un ragazzo“. Quanto è stato complesso conciliare l’icona popolare Agostino con quella del padre che ha deciso di andarsene? L’accettazione del suo gesto è stata un percorso che ha necessitato tanti anni. Mi ha aiutato condividere quel senso di vuoto tremendo con tanti uomini e tanti ragazzi come me. Persone vere, amanti della Roma e del calcio: quella “maggioranza silenziosa” di tifosi, troppe volte soverchiata da chi si attribuisce il potere di parlare a nome di tutti, come successo in questi giorni. Trovare un senso è ancora impossibile, dopo 21 anni. Credo che ognuno di noi porti dentro di sé tanti io; ognuno è come una pietra con centinaia di sfaccettature, molteplici facce. Ago evidentemente ha smarrito più la sua, probabilmente per il fatto di non riuscire a trovare un posto in quello che credeva il suo mondo. In fondo, anche se è stato un uomo fortunato per tanti anni, la storia di Agostino è quella di una persona che non aveva più un lavoro e non riusciva a sentirsi a posto. Domenica scorsa all’Olimpico è stata insultata la madre di un ragazzo morto ammazzato. Striscioni di una volgarità estrema per due motivi: perché si permettono di esprimere un giudizio implacabile verso chi ha subito un lutto tremendo, e poi perché in una delle scritte c’era una classificazione meschina. Un confronto tra due madri (quella di Ciro e quella di Antonio De Falchi, ndr) che hanno perso un figlio. Per offenderne una, si prende l’altra come termine di paragone: un’altra vittima presa in ostaggio. Ognuno ha il diritto di reagire a una perdita così atroce come crede e nessuno può permettersi di giudicare. Gli stadi si possono salvare? Mi chiedo come sia possibile che in uno stadio nel quale si fanno togliere i tappi alle bottiglie di plastica siano potuti entrare quegli striscioni.

Lo stesso giorno tra l’altro in cui paradossalmente i controlli hanno funzionato così bene che è stato impedito di portare sulle gradinate un altro striscione dedicato a Valerio, il giovane scomparso su un campo di Fiumicino per un malfunzionamento cardiaco. Qualcuno non ha vigilato ed è una cosa che accade spesso. Il sistema dei controlli va rivisto: tornelli, restrizioni territoriali e biglietti nominativi e poi, in un impianto dove mi fai buttare i tappini, non sei capace di individuare i responsabili e punisci tutti i tifosi, anche la maggioranza sana? Non possiamo lasciare a pochi delinquenti spazi in cui inserirsi, in cui esercitare un’arma di ricatto enorme contro le società e i tifosi veri. In questo senso il messaggio di Pallotta è stato perfetto. E anche l’eccesso, in questo caso è stato necessario: non si può permettere alle minoranze di tenere in scacco tutti gli altri.

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