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LA GAZZETTA DELLO SPORT Pruzzo fa 60: l’antidivo allergico ai riflettori

Roberto Pruzzo
Roberto Pruzzo

(F. Grimaldi) – La grandezza (umana) di questo ex ragazzo, oggi sessantenne, che di nome fa Roberto Pruzzo, è direttamente proporzionale al suo (dichiarato) distacco emotivo verso il mondo del pallone, che molto gli ha dato, ma altrettanto gli ha tolto, non solo in termini di energie mentali.

ONESTA’ (A TUTTI I COSTI) Un personaggio, «o rey di Crocefieschi», tanto fuori dagli schemi, quanto assolutamente genuino. Che nulla ha rinnegato della sua prima vita da calciatore, pur con la consapevolezza di una sorta di malessere interiore che sempre lo ha accompagnato, anche a fine carriera. Nella sua recente autobiografia, molto si è romanzato su una parola — suicidio — che è in realtà solo figlia e conseguenza teorica di un malessere interiore che per il simbolo di Genoa e (soprattutto) Roma per tre lustri esatti, dal 1973 all’88, gli ha fatto sempre mantenere vivo il ricordo delle occasioni perse e degli errori (come la retrocessione del Grifone a causa di un suo rigore sbagliato contro l’Inter o la coppa dei Campioni persa contro il Liverpool con la maglia giallorossa), piuttosto che quello dei successi. Molti e pesanti, peraltro. Anche nella sua seconda vita — quella da dirigente — e nella terza — da opinionista televisivo — non è mai riuscito a dissimulare una certa vacuità di un ambiente mai riuscito a inglobarlo pienamente.

U LIVIU? NO GRAZIE Pruzzo e le sue sessanta primavere è questo e molto altro ancora. E’ un ex illustre che del Genoa ricorda volentieri le fatiche della cadetteria, e non una serie A avara di vere gioie. Qualcuno, anche se l’interessato ha smentito, l’aveva soprannominato in gioventù «u Liviu» («il Livio»), per esaltarne la velocità (in onore di Livio Berruti, appunto) quando era ancora nessuno. «O rey», figuriamoci, s’è sempre affannato a smontare entrambe le cose: le sue doti di sprinter e, di conseguenza, pure il soprannome. Lasciamo aperto il dubbio. Pruzzo è questo, il bomber che saluta la Roma dopo 106 gol segnati, fa le valigie verso Firenze e con la Viola — contro i giallorossi — segna il suo unico gol con la Fiorentina. Ciò che oggi lui non ricorda — e pure questo fa perfettamente parte del personaggio — è che alla sua ultima recita su un campo di calcio quel giorno anche i tifosi romanisti, a lungo suoi compagni di avventura nella capitale, sugli spalti lo applaudirono. Era Perugia, 30 giugno 1989, spareggio per un posto in Uefa. Caro Pruzzo, si rassegni. Questa è storia, che neppure il suo pudore potrà cancellare.

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