(M. Serra/L’Amaca) – È un importante atto politico, non solamente sportivo o manageriale, la lotta a viso aperto che il presidente della Roma, l’italoamericano James Pallotta, ha dichiarato ai violenti che occupano la curva giallorossa. Liberare una curva da certi branchi organizzati è tal quale voler liberare il quartiere di una città dalla cosca che lo controlla. Identica la mentalità intimidatoria, identica l’extraterritorialità (“qui la legge siamo noi”). Molte curve di stadio sono fisicamente sequestrate, da anni, da bande che ne dispongono come credono. L’umiliante “inchino” dei calciatori ai capibastone (si sono viste squadre sconfitte “convocate” sotto la curva per consegnare le maglie agli ultras in segno di umiliazione) è una delle più incredibili manifestazioni di resa civile del calcio e non solo. Proprio a Roma venne interrotto un derby perché così avevano deciso i capoccia di curva: un episodio inaudito, da libri di storia, che passò quasi senza conseguenze. Pallotta non va lasciato solo. Non solamente il poco lucido e molto pavido mondo del calcio, anche le istituzioni dovrebbero capire che la sua è una battaglia di legalità, parola politica per eccellenza. Le sue possibilità di spuntarla sono tecnicamente uguali a quelle di restituire alla legge un quartiere di Palermo o di Napoli sotto schiaffo. Ovvero quasi zero. Ma almeno qualcuno ci prova.