(M. Pinci) – L’eco di quelle parole mute continua a far rumore. Gli striscioni contro la mamma di Ciro Esposito esposti dai romanisti sabato in Curva Sud hanno già raggiunto il primo, deplorevole risultato: riaccendere la miccia della tensione riguardo una vicenda che dopo i timori e le minacce estive non aveva prodotto, nelle temutissime sfide tra Roma e Napoli, problemi reali di ordine pubblico.
Tavecchio annuncia indagini federali, la Questura è al lavoro sui filmati per identificare gli autori, da sanzionare con il famoso daspo di gruppo. Oggi intanto si pronuncerà il giudice sportivo, che in merito agli striscioni ha ricevuto il rapporto dei delegati della procura federale: il club rischia concretamente la chiusura della curva, per un turno almeno. Questo l’orientamento di Tosel per casi gravi come quello in questione, considerato espressione “insultante e incitante alla violenza” (ex articolo 12 comma 3 e 6).
Nell’attesa il Viminale, che sabato avrebbe voluto brindare a una giornata senza incidenti, si è trovato ieri a dover dare spiegazioni sul perché una scritta lunga decine di metri sia riuscita a passare i controlli della polizia. «Gli striscioni vengono tagliati a pezzi di due lettere e poi una volta nello stadio incollati con il nastro adesivo», si giustifica il Ministero, eppure molti, anche tra i tifosi, continuano a sostenere che si trattasse di un pezzo unico: difficile non identificarlo in questo caso. Eppure non sarebbe la prima volta in cui la sicurezza all’ingresso fa acqua: in Italia allo stadio entra qualsiasi cosa, petardi, bengala, fumogeni, bottigliette e striscioni violenti, basta leggere i rapporti del giudice sportivo che per lancio di oggetti ha già multato i club per oltre 400 mila euro, di cui 130 solo alla Roma.
Proprio la società di Pallotta domenica ha interrotto il silenzio imbarazzato delle prime 24 ore dopo il match con un comunicato, chiedendo «il massimo ed incondizionato rispetto da parte di tutti per il dolore di chi ha perso un figlio», e invocando «l’impegno di tutte le parti, tifosi, società e forze dell’ordine». Un messaggio apprezzato dal Viminale, non dall’avvocato della famiglia Esposito («Non hanno condannato gli striscioni»), che forse travolto dall’eccesso di popolarità si è lasciato prendere la mano dando vita a un’escalation in cui è arrivato a chiedere prima «5 punti di penalità per la Roma», poi «la sospensione della gara», alla fine persino «l’intervento del presidente Mattarella»: istanze che poco hanno a che vedere con il dolore e la dignità di una madre a cui hanno ucciso un figlio.
Intanto dalla curva hanno preso le distanze i giocatori della Roma. Fino a qualche tempo fa ogni vittoria interna (erano scomparse da mesi) veniva celebrata con una corsa verso il cuore del tifo. Sabato la squadra ha preferito riunirsi in cerchio a metà campo: l’effetto della gogna di due settimane fa, quando fu bersaglio di sputi, accendini, bottigliette e minacce, da cui il gruppo è rimasto scottato. In attesa delle istituzioni, il primo vero segnale è arrivato da chi il calcio lo vive da dentro: i calciatori.