Se la statura morale di un atleta si misura nel momento dell’addio, Francesco Totti ha capito come restare grande anche fuori dal rettangolo di gioco. Dentro i confini delimitati dalle linee bianche, in effetti, non lo fanno quasi più entrare.
Ventitré presenze in campionato, molte domeniche trascorse in panchina per gli interi 90 minuti, una costante e progressiva marginalizzazione che ha reso plastico l’impossibile e sublimato l’antico desiderio di Carlitos Bianchi, il tecnico che (insultato e poi allontanato per l’azzardo con permanente foglio di via) a Totti avrebbe volentieri disegnato un futuro distante dallo stadio Olimpico.
Fino a qualche anno fa, la sola idea di scindere Totti e la Roma era impensabile. Si costruivano squadre e campagne acquisti che dal totem (bandiera fedele, raro esemplare simile a Riva, Antognoni e Lele Oriali) non avrebbero potuto prescindere.
C’era Francesco, con il suo carico virtuoso di carisma, visione e gol e poi, in fila per tre, tutti gli altri.Le gerarchie sono cambiate, Totti ha raggiunto i 38 anni. Ha qualche pausa e la classe di ieri, immensa, fatica comprensibilmente a farsi strada con gente a cui rende un paio di decenni.
Nonostante questo e nonostante in qualunque remunerativo torneo orientale volesse decidere di spiaggiarsi sarebbe accolto tra gli onori trottando serenamente fino ai 45 anni, Totti è rimasto a Roma per vedere l’effetto che fa la detronizzazione di un sovrano assoluto. Non un fiato, una lamentela, un cedimento.
Il fisico asciutto, gli allenamenti regolari, il ruolo di comandante in capo che si complimenta a mezzo web con i compagni che (poveri loro) dovrebbero tentare di non farlo rimpiangere. Dicono che James Pallotta, una volta risolte le grane con i “fottuti idioti” che stentano a perdonarne la sincerità e non ne tollerano l’autonomia, dovrà occuparsi anche di Totti. E che il progetto sia quello di non rinnovare un contratto che scadrà tra un anno esatto.
Sarebbe un peccato perché con Totti in vesti dirigenziali e il geniale Di Natale dell’Udinese prossimo all’addio, sparirà anche l’ultimo numero dieci capace di non impallidire di fronte agli esempi del passato. Rivera. Baggio. Del Piero. Maradona. Gente che manca. Calciatori. Costretti a morire due volte, ricordava Zico: “La prima quando smettono e la seconda quando salutano il mondo”.
Fonte: Il fatto quotidiano