(T. Cagnucci) – Roma-Avellino del primo maggio 1983 è la partita che contiene la più bella esultanza di un giocatore della Roma dopo un gol, quindi la più bella esultanza su un campo di calcio.
E’ il gol del 2-0 di Agostino Di Bartolomei da fuori area, collo pieno destro, sotto la Nord, alla spalle di Tacconi, poi la corsa. La corsa che dà una spiegazione persino alla pioggia – Roma che si commuove insieme al suo Capitano che urla – che si inginocchia, scivolando sull’erba il tempo per alzare gli avambracci e il volto al cielo, continuando a urlare e a piovere emozione, mentre Carletto Ancelotti col numero 8 se lo abbraccia in ginocchio, baciandogli il cuore in gola. Scolpita. Incancellabile. Indimenticabile. Romanista.
Quell’esultanza e quella partita, quella partita e quella giornata, quella giornata e quell’annata. Quella Roma. Se quel pomeriggio con quel 2-0 all’Avellino la Roma non ha vinto lo Scudetto è stato solo perché mancava il sole, l’unica spiegazione. Pioveva. Ma Falcao al 38′ del primo tempo aveva fatto uscire l’arcobaleno sotto la Sud, poi il raddoppio al 20′ della ripresa, mentre dalla curva spuntava letteralmente uno scudetto gigantesco. La Juve in quel momento perdeva 3-1 al Comunale contro l’Inter, e in quel momento la Roma era davvero – aritmeticamente – campione d’Italia (5 punti di vantaggio a due giornate dalla fine con due punti a vittoria).
Era iniziata con Di Bartolomei che parlava di arrivare in porto col vessillo, e con Falcao osannato nell’intervallo da tutto lo stadio. La Juve pareggerà anche se poi il Giudice Sportivo darà la partita vinta 2-0 a tavolino all’Inter perché prima della gara un mattone aveva colpito Marini. La Roma sarebbe diventata campione d’Italia la settimana successiva a Genova, ma senza saperlo già lo era già di fatto quel giorno. Quel giorno in cui pure il cielo di Roma si commosse per abbracciare il suo capitano.
Fonte: asroma.it