13 maggio 1951, Roma – Stadio Nazionale
Roma-Sampdoria 5-0
Serie A, quindicesima giornata del girone di ritorno
C’è qualcosa di incredibilmente romantico, vivo e sincero nell’unico viaggio compiuto dalla Roma in direzione della Serie B, un andata e ritorno consumato nel termine minimo di dodici mesi. Non è tanto l’impresa pur straordinaria di una Società che seppe risollevarsi subito da un mondo fino ad allora sconosciuto, un universo fatto avversarie come Marzotto, Fanfulla e Piombino: mai più rivisto quel mondo, mai più incrociate quelle insolite compagne di viaggio.
Il tratto autentico della stagione che deviò il percorso della Lupa verso la divisione cadetta è il tifo della Roma. Nel campionato 1950-1951 tra i numeri essenziali spicca uno zero, tondo ed eloquente nella casella delle vittorie in trasferta. Perché se lontano dalla Capitale la Roma si sciolse sostanzialmente ovunque, ritagliandosi appena 4 pareggi su 19 partite, di fronte al proprio pubblico quella squadra tutt’altro che inadeguata alla permanenza in Serie A aveva l’abitudine di trasformarsi, regalando qualcosa che tuttora va ben oltre i punti conquistati in quelle 38 giornate: 24 sui 28 totali di fine corsa.
Quella Roma regalava una speranza che ricambiava l’affetto smisurato dei tifosi, un amore che la spinse a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a crederci fino a quando il tempo per aggrapparsi ai miracoli non si esaurì, arrivando significativamente oltre il fischio finale dell’ultima partita. Roma-Milan 2-1: prima della premiazione in campo dei rossoneri, arrivati a Roma già certi dello Scudetto, l’altoparlante dello Stadio Nazionale elenca l’esito delle altre partite. Il Genoa perde ed è ultimo, sugli spalti si esulta fino a quando non arriva la sentenza: Padova-Napoli 2-0, veneti salvi, Roma penultima e retrocessa a braccetto con il Grifone. Se a Padova Amedeo Amadei prova a distanza a salvare la sua Roma, almeno fino a quando i terzini biancorossi non lo azzoppano, sulla panchina giallorossa c’è un altro campione d’Italia del ’42. Il capitano di quello Scudetto, il ‘primo portiere’ di Testaccio.
Mentre i tifosi della Roma trovano la forza per applaudire spontaneamente anche il Milan scudettato, Guido Masetti chiude la sua quinta panchina da traghettatore della disperazione accompagnando per mano la squadra nel momento più difficile della propria storia. Un momento che senza nessun genere di dubbio è soprattutto uno tra più toccanti, dal 1927 fino a sempre. I tifosi giallorossi applaudono la squadra, la salutano commossi e ancora speranzosi. In tribuna come sui muri dei quartieri, perché la città è lo stadio della Roma. “Ci accompagna la certezza che la Roma risorgerà al più presto sotto l’impulso di un pubblico incomparabile, fedele fino all’inverosimile”, recita l’omaggio a mente fredda che il grande Giuseppe Melillo indirizzò ai tifosi della Roma sul Corriere dello Sport di due giorni dopo: “Sui muri di Testaccio, a quel che ci dicono, fanno già spicco degli enormi ‘ritorneremo’. E non occorre essere degli indovini…”.
Mentre Melillo sceglie di chiudere così il pezzo per il giornale dell’indomani – quando scrive è lunedì 18 giugno 1951 – Masetti in sede incontra Renato Sacerdoti e il direttore sportivo Vincenzo Biancone. La possibilità di una permanenza di Guido sulla panchina della Roma sembra concreta, poi la Società opterà per quel Gipo Viani che resterà in sella quel tanto che basta a portare una Roma schiacciasassi al fischio finale dell’ultima giornata di Serie B con in tasca il primato in classifica. Masetti, che aveva iniziato ad allenare le giovanili giallorosse quando ancora faceva parlare di sé per le sue uscite senza un filo di paura, lascia la guida tecnica della Prima Squadra un mese dopo avere preso il posto dell’ex compagno di squadra Pietro Serantoni, uscito di scena dopo la compromettente sconfitta interna con la Lucchese.
Seppure in una stagione complicatissima, la Roma aveva comunque conservato una grande efficienza davanti al proprio pubblico. Due delle sconfitte casalinghe che costeranno la Serie B, contro Palermo e Genoa, la Roma le incassa giocando lontano dal terreno amico per squalifica del campo. Tra le 10 vittorie interne di quella stagione la più bella è probabilmente quella che coincide con il debutto in panchina di Masetti, un 5-0 alla Sampdoria che dà speranza. E’ il 13 maggio, c’è un mese di tempo. La Roma – caricata dal tifo e da quella fetta di Testaccio rimasta nelle vene di Masetti – non aspetta. Stig Sundqvist porta in vantaggio i suoi dopo un minuto di gioco e neanche 60 secondi dopo si vede negare la doppietta per fuorigioco. Il raddoppio arriva con un rigore conquistato da Amos Cardarelli e trasformato da Knut Nordahl al 44′, poi nel secondo tempo vanno a segno nell’ordine Armando Tre Re, Sune Andersson su calcio di punizione e infine Renzo Merlin.
Vince 5-0 la Roma, ma ad accendere la fede di tutti – cronisti cauti ma compresi – non è il conteggio dei gol, peraltro facilitato da un infortunio che costringe la Samp a giocare 84 minuti in dieci uomini. Ad impressionare, scrisse Giusppe Sabelli Fioretti nella cronaca del match, è “un certo ‘qualcosa’, non facilmente traducibile in parole o concetti tecnici, un che di fluido che, sgorgando da questo o da quel passaggio, da questa o da quella azione, ha dato l’impressione polposa e tangibile che nel gioco della Roma ci sia veramente qualcosa di cambiato”. Quel ‘qualcosa’ era la spinta dei tifosi della Roma.
Nati oggi (i dati statistici si riferiscono al totale delle competizioni ufficiali)
Nessuno.
Fonte: asroma.it