(M.Cecchini) – Quasi più difficile che giocare. Gli sfila davanti una processione di persone che, sorridendogli, ammoniscono: «Mi raccomando, vinciamo il derby. E lui, Daniele De Rossi, è attentissimo a non annuire, non ammiccare, insomma non muovere un muscolo che possa significare: va bene, sarà fatto. Eppure, al netto della Lazio, la presenza del centrocampista della Roma alla presentazione del libro di Massimo Marianella: «Dove ti porta il calcio» (Mondadori), è un interessante spaccato di racconti, che però per noi deve cominciare dal derby. «Manca una settimana e sono ancora tranquillo – spiega –, poi man mano che ti avvicini alla partita senti salire la tensione, ma ne ho giocati parecchi e penso di riuscire a gestirla». Meglio così, perché finora la Stracittadina è una di quelle partite in cui raramente De Rossi è riuscito a dare il meglio proprio perché per lui non è una partita come le altre, così come la Roma non è «solo» la squadra per cui gioca.
COME GERRARD «La Roma è il mio più grande amore. Ho due anni di contratto e passano veloci, ma quando vedrò che gli acciacchi aumentano e le cose girano peggio allora penserò a lasciare. In passato ci sono stati momenti della mia vita in cui pensavo di cambiare squadra, ma poi sono rimasto. L’addio di Gerrard è stato elegante e dignitoso. Mi piacerebbe che il mio fosse così. Penso che sia stato un dolore staccarsi da ciò che hai cucito addosso per tutta la vita. Spero di lasciare il calcio più tardi possibile, ma lo voglio fare quando non sarò più in grado di essere forte. Gerrard è quello che mi è piaciuto di più quando ho iniziato a giocare, cosi come Pirlo e Lampard: irreprensibili anche fuori del campo. Vedevo lui come qualcuno da imitare. Atteggiamenti esemplari, e io devo prenderne spunto perché ogni tanto sono scivolato. Le bandiere? Maldini e Totti sono stati applauditi: non siamo molto lontani dal riconoscere i campioni. Poi ci sono momenti legati ai risultati della nostra squadra del cuore e si può perdere la lucidità».
FUTURO TV De Rossi poi confessa una debolezza: «Olimpico a parte, S. Siro è lo stadio che mi piace di più, è di una bellezza incredibile. Mi impressiona ogni volta. Anche i ragazzi della Roma che entrano lì per la prima volta rimangono impressionati». A proposito di gioventù poi spiega: «Quando ho iniziato c’era più differenza tra una partita inglese e una italiana, ora invece dal punto di vista tattico c’è un livellamento di valori, per essere i più forti dovremmo avere anche altro, come il Barcellona». Non sarà facile, per il momento si guarderà in tv. E il suo rapporto col piccolo schermo lo descrive così: «Rivedo solo le partite in cui siamo andati bene, l’ultima l’ho vista alle 3 di notte, altrimenti guardo un film». E a chi gli dice che avrà un futuro da seconda voce nelle telecronache spiega: «È una cosa che mi affascina ma credo che ci sia una grande responsabilità». Di sicuro, ma mai come giocare il suo derby.