(M. Nicita) – Come un esperto pokerista texano, Rudi Garcia gioca il suo all-in sul finire. Quando tutti i docenti di dietrologia davano per scontato un comodo pareggio è arrivato il meglio del derby. Il francese cala due carte vincenti – Pjanic e Ibarbo – e si prende la partita che vale una stagione. Parte con una squadra molto coperta, rinunciando alla fantasia per avere più copertura. Perché rispetta e teme l’avversario, al di là di quelle frasi spaccone di vigilia, decisamente censurabili. Quel rischioso all-in vale almeno 40 milioni di introiti legati all’ingresso diretto in Champions per la Roma. E anche la conferma sulla panchina per il tecnico, che se questo derby avesse perso difficilmente sarebbe potuto rimanere a Trigoria, al centro del villaggio. Dopo aver stentato per lunghi mesi all’Olimpico, la Roma ritrova la sua anima nel giorno più difficile e proprio quando quella malattia ammessa dallo stesso Garcia, la pareggite, per una volta avrebbe fatto anche comodo. Applausi ai giallorossi, ma pure a una Lazio che non si è accontentata. Pioli a Napoli ha l’occasione per centrare ancora un eccellente terzo posto, ma deve liberare dai cattivi pensieri la testa dei suoi ragazzi che in quattro giorni hanno perso Coppa Italia e mezza Champions.
E qui si chiude con le note sportive, perché il pomeriggio e la serata nella Capitale regalano scenari angoscianti. Non ci si può rassegnare a un bilancio di feriti e danni limitati, quando una parte rilevante della città è rimasta paralizzata nella sua quotidianità di giorno feriale. C’è un contesto di inciviltà a cui ci stiamo abituando in maniera preoccupante. Comincia dal parcheggio delle auto in curva sugli svincoli della tangenziale e finisce con quel clima da Colosseo in cui i gladiatori, alias calciatori, sono osannati più quando menano che quando segnano. In questo magma di violenza e intolleranza sguazzano delinquenti mai identificati come tali dalla cosiddetta società civile. Si invoca sempre il pugno duro delle forze dell’ordine, ma al di là delle emergenze dietro cui si nasconde questo Paese, serve una svolta sul piano dell’educazione e della cultura. Lo sport è competizione, non guerra. È rispetto per l’avversario. Quello che è mancato a Garcia («Ho detto certe cose per destabilizzare la Lazio» è una toppa peggio del buco) a De Rossi (più di un gestaccio volgare verso i tifosi avversari) e a tanti cattivi protagonisti che hanno litigato dentro e fuori dal campo. Lotito e Pallotta, che hanno fatto della lotta al tifo violento la loro bandiera, comincino a educare i propri tesserati.