(E. Menghi) Una volta Milan-Roma valeva lo scudetto e non bisogna andare nemmeno troppo indietro negli annali del calcio per trovare il colpo di testa di Shevchenko che nel 2003-04 consegnò il tricolore ai rossoneri nello scontro diretto della terz’ultima giornata di campionato. Ci mise solo un minuto e 19 secondi per trafiggere Pelizzoli e distruggere il sogno della formazione allenata allora da Fabio Capello. Totti e De Rossi se lo ricordano bene. Nel 2010-11 bastò lo 0-0 all’Olimpico per consegnare il diciottesimo titolo al Milan di Allegri, ma anche di Inzaghi, protagonista da calciatore degli ultimi due scudetti della storia rossonera e messo sulla graticola dai risultati (non) raggiunti da allenatore. Questo Milan-Roma si gioca con il tricolore già stampato sulle maglie della Juventus e solo i giallorossi hanno ancora un obiettivo, che seppur non di prim’ordine fa invidia alla squadra milanese, ormai priva di ambizioni e chiamata solo ad onorare una maglia storica. Se dalle parti di Milano hanno registrato una parabola discendente da Allegri a Inzaghi, a Trigoria il percorso è stato inverso e dai settimi e sesti posti con i vari Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman e Andreazzoli si è passati al doversi accontentare del secondo.
A San Siro, sabato sera, la Roma è costretta a vincere per mantenere il piazzamento che farebbe fare il bis Champions a Garcia. L’Europa non s’ha da fare nemmeno quest’anno, invece, per il Milan, distante 21 punti dai giallorossi. Il divario è frutto di un girone d’andata ben condotto dalla squadra capitolina, meno efficace al ritorno: dal giro di boa in poi sono, infatti, solo 6 i punti di differenza. Ovvero le ultime due vittorie della Roma. «Peggio di così non possiamo fare», ha constatato amaramente Mexes, alla sesta sfida da ex. Nelle precedenti ha festeggiato solo una volta. Sabato ritroverà due vecchi amici: «Ho un bel rapporto con De Rossi e Totti». Il primo giocherà sicuramente dall’inizio, con Pjanic e Nainggolan ai lati, perché Keita continua ad avere qualche problemino al ginocchio, anche se si tenterà di farlo allenare tra oggi e domani con la squadra. Totti, invece, è in ballottaggio con Doumbia, che ieri è tornato a correre in campo, aumentando il rischio di far allungare il muso del capitano. Ljajic dovrebbe essere oggi in gruppo e sabato in panchina, dopo le rassicurazioni ricevute a Monaco dall’ex medico sociale del Bayern, Müller-Wohlfahrt, che l’aveva già curato alla schiena ai tempi della Fiorentina.
La sensazione è che Garcia voglia apportare pochissime modifiche all’undici anti-Sassuolo e Genoa, dove Totti non era compreso. De Sanctis, di un anno più giovane del capitano, sa che «non si può mantenere per sempre un livello altissimo di prestazione e la capacità di un giocatore è quella di capire quando finire, in maniera sublime magari. Francesco – ha sottolineato all’evento Lotto da Scarpamondo – sarà in grado di fare la scelta migliore. Il suo contratto scade nel 2016 e non c’è alcun motivo di discussione». Su quello di Morgan c’è la stessa data: «Ma non c’è scritto che devo giocare per forza. Se arriverà un altro portiere dovrà vedersela con me. Ora pensiamo solo al secondo posto, siamo artefici del nostro destino e col Milan dobbiamo vincere a tutti i costi». Non importa se non ci sono più scudetti in palio.