(A.Angeloni) – Una vita fa, 13 settembre 2014, Empoli. Giramenti di testa, la malattia (cavernoma nel cervelletto), la paura, l’intervento e il lento ritorno alla normalità. A Pinzolo, Leo Castan si sente calciatore e rieccolo in campo in una partita. Non il massimo, perché nel suo primo test la Roma affronta una squadra di B ungherese, il Gyirmot. Livello molto basso, ma al confronto di questa Roma sembrava il Real. Al di là del risultato, sconfitta 2-1, e degli insulti a Pallotta (15’pt, un «Pallotta pezzo di…» si eleva da una minoranza del pubblico) più qualche coro ironico dopo il raddoppio di tale Attila («Vinceremo il tricolor», «Resteremo in serie A» e «Vogliamo un tiro in porta») le sensazioni sono di una squadra incompleta e con numerose incognite.
L’URLO DI LEO – Forse l’unica nota più o meno lieta è proprio Castan, che interpreta la gara nella maniera giusta, le dà e le prende senza paura. «I tifosi hanno ragione: non si vince da tanto tempo. Bisogna avere la personalità, comportarsi da uomini. Sarà un anno lungo e difficile, i nostri sostenitori hanno avuto già tanta pazienza. Siamo all’inizio, abbiamo lavorato tanto, le gambe sono pesanti. Dobbiamo migliorare, più cattivi. Il calcio può essere brutto ma giocato in maniera semplice, senza lamentarsi. La mia condizione fisica? Basta trattarmi come un malato. Ho solo bisogno di lavorare», l’analisi di Leo, guerriero anche della parola. E’ terminato il ritiro delle famiglie, tornano in “campo” i contestatori(non tantissimi) che aspettano buone nuove da un po’: comincia la vera ricostruzione da qui in avanti, proprio gli occhi di Sabatini, giunto a Pinzolo (con Baldissoni) ma senza i pacchi sorpresa attesi da Garcia. Che intanto studia Iago Falque, volenteroso ma imballato (come tutti) e osserva i progressi fisici di Maicon, il cui ginocchio però non lascia mai troppo tranquilli. E per adesso prova anche Cole (questo passa il convento).
MODULI NUOVI E VECCHI – Nel primo tempo in campo la Roma con il 4-2-3-1. Sulla trequarti balletto di posizioni tra Iago, Gervinho (spaesato e insultato con uno striscione, dove gli danno del “mocio vileda”) e Iturbe (anche quest’ultimo non brillante per adesso), davanti, ma non come il classico centravanti, Totti, pure lui appesantito dal lavoro della settimana. Al centro gioca Paredes (lui qualcosa di buono l’ha fatta vedere) e Uçan (che là nei “due” in mezzo non ha le caratteristiche giuste per giocarci, meglio nella ripresa con modulo diverso). Il gol del vantaggio arriva per una dormita dei due centrali, che lasciano Belizky, solo davanti a De Sanctis. Nella ripresa, la rivoluzione inevitabile, con uomini e modulo. Un furgone di ragazzini in campo, con addirittura Di Livio che parte terzino destro (ah, quanto mancano gli esterni bassi) e un ritorno al 4-3-3 classico. Gol di Attila a parte, da registrare i numerosi fischi per Destro, la cui partenza – vista la situazione – non potrà che renderlo felice (non solo lui). Proprio Destro segna la rete del 2-1. Applausi e fischi. «Vinceremo il tricolor», si canta ancora ironicamente. Ma la partenza è coperta da un certo scetticismo. «Bisogna essere uomini», ha ragione Castan, lui tornato davvero.