(U. Trani) – La Roma, proprio come nelle giornate peggiori della scorsa stagione,cammina in campo. Il debutto del Bentegodi sembra riproporre i difetti antichi del gruppo di Garcia. Che, invece, dovrebbe correre. Per lo scudetto. Così vengono subito in mente i 17 punti di distacco dalla Juve campione nell’ultimo torneo (anche il penultimo, per la verità, ma con il ritardo cresciuto solo nelle tre giornate conclusive). Il fraseggio è lento e il Verona si chiude con semplicità e, visto il risultato finale, con efficacia. Il primo pari nel nuovo campionato è simile ai 13 infilati fino al 31 maggio scorso. Senza gioco, non si vince. Mai o quasi. Perchè, a volte, è possibile pure conquistare i tre punti senza far niente di che. Ma è il singolo a fare la differenza, non il coro. Nemmeno la presenza del centravanti, atteso da anni, è servita per la svolta. Dzeko dimostra di esserci con la testa e i piedi. Dopo la prestazione contro l’Hellas, è triste dover ammettere che il comportamento della squadra ne abbia azzerato le caratteristiche. E se, per tutti, il migliore è stato Szczesny, cioè il portiere, sta a significare che, oltre alla sterilità offensiva, è venuta a galla anche la fragilità difensiva.«C’è molto da lavorare», ha chiarito il tecnico. Spetta, però, a lui capire come. Al più presto. Bisogna intervenire tatticamente. Di sicuro non c’entra l’aspetto piscologico. Neanche quello fisico.
LACUNE NELL’ORGANICO E’ fin troppo facile, però, infierire sull’addestramento insufficiente che è la questione più urgente (e preoccupante) da affrontare. Prima di spiegare che cosa non funziona in campo, bisogna riconoscere a Garcia l’assenza nella rosa di alcuni calciatori proprio nei ruoli chiave. Il mercato della Roma è stato ottimo in attacco, ma pessimo in difesa. Contro il Verona l’unico terzino di ruolo a disposizione è stato utilizzato sulla corsia a lui meno congeniale. Torosidis a sinistra, con il riciclato Florenzi a destra. Nessun sostituto in panchina (solo il Primavera Anocic). E anche in mezzo c’è solo il minimo indispensabile: Manolas più Castan che, ovviamente (nel senso che si doveva sapere), ha bisogno di tempo per tornare al top. Nei 23 l’unico cambio è Gyomber, non ancora pronto. Ruediger sarà pronto, se tutto andrà bene, a metà settembre. De Rossi, prima alternativa ai due centrali, è uscito perché non sta ancora bene. In difesa, insomma, mancano 2 o 3 giocatori. E il campionato è già partito. Sabatini confessò, a febbraio, di aver preso troppo tardi i rinforzi. Come nella sessione invernale, anche adesso il timing è errato. Perseverare può essere pericoloso.
STESSO SPARTITO Il centravanti è Dzeko, ma in campo è come se ci fosse stato ancora Totti. Il bosniaco, proprio come ha sempre fatto il capitano, arretra a prender palla e a dare un senso al gioco. Che però non si vede. Perché le ali non vanno in profondità e chiedono anche loro il pallone sui piedi, magari spalle alla porta come Dzeko, perché attacca solo Florenzi. L’unica variante, già vista comunque in passato, è nella posizione di Pjanic che fa il trequartista e dialoga, conoscendolo bene, con il centravanti. Senza ritmo, però, non si va a dama. Qualsiasi difesa, anche la meno competitiva, ha il tempo per sistemarsi. La disorganizzazione in fase di possesso palla è il difetto peggiore della Roma. Giocatori statici e facilmente controllabili. Il dato del 67,5 per cento, come superiorità nel controllo della partita, è fine a se stesso.
CORSIE VUOTE Alcune statistiche della gara del Bentegodi sono inequivocabili. Salah fa 1 cross, Gervinho 2. Sul fondo non si presentano mai. Dzeko, 44 gol dei suoi 50 in Premier li ha segnati dentro l’area di rigore, non viene sfruttato. Iago Falque, in metà ripresa, arriva a 3 cross. Garcia deve, quindi, riflettere sulle scelte di partenza. Florenzi ne conta 6, ma li offre dalla trequarti. Le fasce, pur avendo il centravanti, non sono sfruttate. Dai terzini che, però, non ci sono e soprattutto dalle ali. Anche per questo motivo diventa inspiegabile l’inserimento di Ibarbo, rinunciando alla qualità di Totti e Ljajic. Alle loro giocate. Sempre in attesa del gioco.