(A. Pugliese) – Centodiciotto chilometri. Sono quelli che dividono Sarajevo da Tuzla, la capitale dalla terza città della Bosnia. Ma sono pure quelli che dividono i due mondi dove sono cresciuti Dzeko e Pjanic, anche se poi quei due mondi mai come oggi sembrano così vicini da essere di fatto complementari. Già, perché il giorno dopo la vittoria con la Juventus la Roma ha scoperto che in quei 118 chilometri c’è un filo ideale che lega tutti i suoi sogni.
I FESTEGGIAMENTI – Edin e Miralem domenica hanno festeggiato insieme. Poi ieri sono partiti per il ritiro della Bosnia, che giovedì si giocherà molto del suo Europeo in casa del Belgio di Nainggolan. Miralem e Radja hanno passato parte dell’estate insieme, sono come fratelli. Anche se poi il fratello di sangue di Pjanic oggi è Dzeko, l’uomo per cui ha lavorato per averlo alla Roma. Così tanto che Edin, durante la trattativa, si è fatto assicurare che non partisse Pjanic, conditio sine qua non per accettare. E ieri a casa loro, dove quei 118 chilometri non dividono più ma uniscono, la Bosnia li ha celebrati a dovere, con i principali quotidiani che hanno titolato così: «Roma festeggia i nostri Dragoni» e «Dzeko e Pjanic demoliscono la Juventus». L’effetto? Un proliferare di maglie giallorosse per i vicoli della Bascarsija, il quartiere vecchio di Sarajevo, maglie ovviamente griffate Pjanic e Dzeko. «Per la Bosnia sono due ambasciatori eccezionali — dice Vesela Planinic, ministro consigliere presso l’ambasciata bosniaca — Grazie a loro in molti ameranno il nostro Paese pure in Italia. Presto li inviteremo in ambasciata».
LA NUOVA VITA DI MIRE – Miralem con la Juve si è ripreso tutto quello che gli era stato tolto: fiducia, autorevolezza, amore. Perché nei 4 mesi finali dello scorso campionato il Piccolo Principe ha stretto i denti, giocando quando non poteva, anche a rischio di qualche figuraccia. Che poi è arrivata, con il carico di critiche sulla presunta mancanza di continuità. Quel che è cambiato adesso, però, è che Pjanic gioca più vicino alla porta del passato (con la Juve ha tirato 5 volte, proprio come Dzeko), deve coprire meno campo e spreca meno energie in corsa, capitalizzandole in genio e fantasia. Da questo punto di vista lo aiuta anche l’assenza di Totti, perché senza il capitano che tende ad abbassarsi ha più spazio per infilarsi e fare male. E proprio di Totti sta prendendo il posto come cecchino sui calci di punizione. La parabola magica con cui ha superato Buffon è l’ottava in A («Quella era la mia mattonella»). Da quando è arrivato in Italia, nel 2011, meglio hanno fatto solo Pirlo (12) e Lodi (9).
IL NUOVO BATI – Ma quei 118 chilometri di speranze giallorosse da Tuzla si spingono fino a Sarajevo, dove Edin Dzeko prima di imparare come segnare ha dovuto apprendere come schivare le bombe. «È ancora presto per dire che sia il re di Roma, siamo solo all’inizio — dice il suo agente, Irfan Redzepagic — Ma speriamo continui così». Con lui la Roma non solo ha trovato quel centravanti che gli mancava dai tempi di Batistuta, ma anche un uomo capace di aiutare la squadra, contribuire alla fase difensiva (e non è un caso che quest’anno Garcia abbia deciso di pressare alto i portatori di palla avversari), lavorare anche in quegli aspetti che non gli appartengono. Già, perché i cromosomi del suo dna parlano di altro: gol, tiri, potenza ed atleticità. E la presa di posizione su Chiellini sul gol del 2-0 ha fatto il giro dei social network. Sembrava Davide contro Golia, con la differenza che stavolta a vincere è stato proprio Golia.