(A. Angeloni) – A sei giorni da 39, fa 300. Gli anni di Totti passano, i gol di Totti aumentano. A rilento, ma aumentano. Numeri alti, altissimi. Una festicciola all’Olimpico, in tono un po’ dimesso (chissà che cosa frulla nella testa al capitano della Roma) per la trecentesima rete in carriera. Lui, in posizione di fuorigioco, con tiraccio nemmeno troppo felice, trafigge Consigli.Maglietta, giri di campo, festa come fu per ogni gradino della scalata ai grandi marcatori della storia del calcio? Nulla o quasi. Francesco mostra il tre (trecento, appunto), si gira verso la tribuna, dove lì sì, i suoi figli, la magliettina celebrativa l’avevano preparata. Allo stadio si sente qualche coro, «Un capitano c’è solo un capitano…». Dopo un po’ si ode, «Dzeko, Dzeko». Non è semplice andare in campo con la spensieratezza di prima. E’ sempre più facile, altresì, che la partita sia sempre un esame: se vinci hai fatto il tuo, se non lo fai, si pensa che la colpa sia tua. A lui, qualcosa nella testa frulla, questa situazione la vive con un po’ di sofferenza, però va avanti: incita il gruppo anche dalla panchina, fa quel che può, insomma.
ELOGIO DELL’ANORMALITÀ Se è vero che non conta quello che hai fatto ma ciò che stai facendo e farai, Totti diventa un giocatore normale. Ma questo numero 300, i gol, che luccica e il 39, i suoi anni tra qualche giorno, ci fanno pensare al suo passato lungo, che non è affatto normale. Perché parliamo di uno che con una sola maglia ha toccato le 743 presenze in gare ufficiali. In serie A sono 590, quindi seicento e più a fine campionato (o carriera?). Sono passati 21 anni da quella prima volta in cui ha gonfiato la rete avversaria (4 settembre 1994, Roma-Foggia) ne sono passati invece 22 da quando ha messo piede su un campo di serie A (28 marzo del 1993, Brescia-Roma, ingresso al posto di Rizzitelli). L’abbiamo visto crescere, vestire la fascia di capitano già da bambino (21 anni), lo abbiamo visto sognare e piangere (alcuni scudetti sfumati sul gong), vincere (dal titolo del 2009 alla coppa del mondo in Germania) e sbagliare (dallo sputo a Poulsen in giù). Lo abbiamo visto trionfare nei derby (il 5-1 culminato con un suo pallonetto a Peruzzi) e perderne tanti (quello in Coppa Italia, ad esempio), restando sempre il nemico assoluto dei laziali e il loro incubo (è il capocannoniere della stracittadina). Lo abbiamo visto anche non essere capito (Carlos Bianchi) e spronato a volte con energia (da Capello) e coccolato (Zeman, Mazzone e Spalletti, con lui è arrivato ai 200 gol in carriera). E’ stato guidato, appunto, da big e/o da suoi compagni di squadra (Montella, con lui, contro la Fiorentina ha toccato quota 200 gol in A), da tecnici poi evaporati in un niente, vedi Del Neri, con cui ha la soddisfazione di aver segnato la centesima rete nella partita d’esordio del tecnico di Aquileia (con l’Inter). Ha giocato con grandi compagni, da Batistuta a Cassano, fino a lo stesso Montella e con improbabili attaccanti dei quali non facciamo i nomi per mantenere una certa decenza. Il tempo passa e ce ne sarà sempre di meno in cui lo vedremo indossare la maglia giallorossa. Rimpianti? No. Forse un pizzico di nostalgia per quel che è stato e che difficilmente sarà più. Ciò che ci sarà sempre è il rispetto per uno che ha certi numeri e un attaccamento alla Roma che non ha eguali. Numeri, dicevamo, ricordiamone alcuni: presenze in campionato, 590 gol 244 (Piola ne ha 30 in più, troppi) media 0,41; Coppa Italia presenze 55 gol 17 media 0,31; Supercoppa Italiana presenze 5 gol 1 media 0,20; Champions presenze 55 gol 17 media 0,31; Europa League presenze 38 gol 21 media 0,55.