(A. Austini – A. Serafini) – Come mai ha girato così tanto?
«A Barcellona e con la Juve ero ancora un ragazzino. La mia carriera da professionista è iniziata a 19 anni a Bari perché lì mi avevano preso per la prima squadra, anche se poi Ventura non mi ha fatto mai giocare».
Ricordi del Barça?
«Avevo 10 anni e dopo aver fatto due provini col Real Madrid si è inserito il Barcellona. Il mio idolo era Rivaldo e ho preferito andare in Catalogna. Mi pagavano la casa, hanno trovato un lavoro per mio padre e garantito i biglietti a mia madre per venirmi a trovare tutti i weekend. Ho esordito nella squadra B con Guardiola nella terza serie spagnola. Tra i miei compagni c’erano Pedrito e Busquets, che allora faceva il centravanti. Andavo a scuola con Messi insieme a tutti gli altri ragazzi: negli allenamenti si vedeva già che Leo era un fenomeno. Io nei campionati giovanili ho segnato tanto, ma Guardiola mi ha dato una sola opportunità: nonostante avessi segnato un gol non mi ha più richiamato. Poi è arrivato Luis Enrique e una settimana prima dell’inizio del campionato mi ha detto che non contava su di me e allora ho chiesto di andare via. Con lui ho avuto poco rapporto, hanno idee simili ma Luis è uno che parla meno rispetto a Guardiola. Dopo un mese ero già andato alla Juve».
Mercoledì prossimo potrà prendersi la rivincita in Champions.
«L’anno scorso ho battuto 5-1 il Torino di Ventura con il Genoa. Con la Juve abbiamo vinto, adesso manca solo il Barcellona per chiudere il cerchio. In questi anni nessuno mi ha regalato niente e sono riuscito a fare la mia strada. Il cammino è stato più lungo del previsto, sono passato in qualche squadra di troppo: quando vai in prestito da una parte all’altra non cresci mai. Ho sbagliato ad andare in Inghilterra, lì è stata durissima e nessuno mi ha dato un’opportunità. Al Tottenham c’erano giocatori come Bale e Van der Vaart perciò non era facile trovare spazio. Poi al Rayo Vallecano hanno puntato finalmente su di me, l’anno scorso al Genoa è stata la mia migliore stagione e ora sono arrivato in una grandissima squadra. Quindi mi dico che alla fine ne è valsa la pena fare tutto questo percorso».
La Juve l’ha chiamata troppo presto?
«Mi allenavo con la prima squadra di Ranieri, insieme a Del Piero e Nedved, ma poi giocavo solo con la Primavera. Ho rubato con gli occhi i segreti dei campioni e mi è servito».
Cosa significa per la Roma aver vinto il primo scontro diretto?
«Queste vittorie ti danno sempre fiducia e aumentano l’autostima. Non è tanto importante il risultato in sé ma il modo in cui è arrivato. Abbiamo giocato meglio di loro, siamo stati più forti. Ma guai a rilassarci, è solo la seconda partita. Diciamo che abbiamo dato un segnale: era importante per far vedere a tutti che stiamo bene e siamo pronti a fare una grande stagione».
Eppure avete rischiato di farvi rimontare.
«Dovevamo gestire meglio quei minuti finale, non ci aspettavamo di prendere gol in undici contro dieci. Glielo abbiamo regalato con un nostro errore ed è iniziata un’altra partita. Ci potevano punire su una palla ferma, dobbiamo migliorare molto».
Vi sentite superiori ora?
«No, la favorita resta la Juve perché ha vinto con merito negli ultimi quatto anni. Dietro ci siamo noi, arriviamo da un secondo posto e quest’anno l’obiettivo è migliorarci: quindi vincere lo scudetto».
Solo al Villarreal e al Genoa ha segnato tanto. Come mai?
«Anche da ragazzino facevo tanti gol, poi mi sono fermato, ho perso fiducia. Non giocando con continuità come potevo segnare? Comunque a me interessa di più vincere. Ad esempio adesso che nella Roma gioco prevalentemente a sinistra, tendo a crossare col mio piede preferito piuttosto che tirare in porta».
Il suo segreto è la fase difensiva?
«Nel calcio moderno se non corri anche indietro non puoi giocare. Basta guardare il Barcellona: se corre Messi, io devo farlo il doppio».
Come su quel pallone contro la Juve che ha trasformato nell’assist a Dzeko.
«Ho fatto un brutto stop, allora ho detto: la metto dentro e vediamo se Edin la prende. Diciamo che è stato un “vero” assist al 90%. Crossare quando hai uno così dentro l’area è semplice: sposta i difensori e se non la prende lui arriva un altro compagno dietro. Se c’è Totti al suo posto è diverso ma ugualmente semplice perché capisce il calcio come nessuno. Quello che noi facciamo in due-tre tocchi a Francesco riesce con mezzo».
Si aspettava di giocare a Verona?
«Garcia dà la formazione solo un’ora e mezza prima della partita. Ero pronto ma non sicuro. Qui la concorrenza è forte in tutti i ruoli, ci sarà spazio per ognuno. Non mi sento un titolare quando gioco, né una riserva se sto in panchina».
Garcia ha detto: «Iago è un calciatore vero e un ragazzo umile».
«Faccio una vita tranquilla con la mia ragazza, il cane e la famiglia. Cerco di essere un professionista, il calcio è un lavoro, ma molto più pagato di altri e questo non devo dimenticarlo mai. I tatuaggi? Non ci penso proprio, ho troppa paura degli aghi! Piuttosto mi piace cucinare, anche adesso che vivo con la mia fidanzata ai fornelli ci sto sempre io. Lei è felicissima, va pazza per la carbonara ma a Genova non la trovavamo. Qui a Roma si mangia molto meglio! È la più bella città del mondo, un museo a cielo aperto e la gente finora mi ha trattato con grande rispetto».
Sua madre è una senatrice del partito socialista in Spagna. Che valori le ha trasmesso?
«È stato mio padre a seguirmi ovunque, a Torino c’era anche mio nonno. Mia madre non può muoversi troppo da Madrid, lei è il mio orgoglio: è bello sapere col suo lavoro cerca di migliorare la vita degli altri. Anche se di questi tempi è un mestiere difficile in Spagna: per dieci politici che rubano ci rimettono gli altri cento».
Quando la Roma l’ha comprata in molti hanno detto: è solo una pedina di scambio nell’affare Bertolacci. Anche per questo vuole prendersi una rivincita?
«Potevano scegliere altri ragazzi molto forti nel Genoa, quindi se hanno puntato su di me vuol dire che avevano fiducia. Non sono stato magari il colpo più importante del mercato, ma il primo acquisto e la società ha fatto comunque uno sforzo per avermi. Sono arrivato qui con grande entusiasmo, senza stare a sentire le chiacchiere degli altri ».
L’anno scorso ha segnato gli stessi gol di Dybala, 13, eppure la Juve ha pagato l’argentino il quadruplo di lei.
«Lo dirà il campionato chi ha fatto il vero affare. Spero che alla fine si dirà: “Iago lo hanno pagato molto poco”».