(A. Austini) – Un tiro senza pretese che diventa il gol della vita. C’è tutta la storia di Florenzi nella magia che ha stupito il mondo e lasciato di sasso il Barcellona dei fenomeni: un ragazzo umile ma ambizioso, che se non fosse diventato calciatore avrebbe lavorato al bar di famiglia a Vitinia , invece ha realizzato il suo sogno, ha ubbidito a tutti gli allenatori giocando in ogni zona del campo e ora è considerato uno dei migliori terzini in circolazione.
«Avevo visto che il portiere aveva fatto un passo in avanti e allora – il racconto sincero di Alessandro – mi sono detto: “Sai che c’è? Ci provo”. Ho capito che la palla sarebbe potuta entrare quando Ter Stegen ha cominciato a correre indietro. Non sapevo come esultare, mi sono messo le mani in faccia perché ho avuto la consapevolezza di aver fatto un gol che non scorderò mai più. Un mix di istinto, pensiero, pazzia, cuore».
Tutto questo è Florenzi, che ha accettato di restare nel ruolo ideato per lui da Garcia (ma Prandelli lo rivendica: «Sono stato io il primo a farlo giocare lì in Nazionale») e si è caricato in estate percependo lo scetticismo per il mancato arrivo di un terzino destro specialista. «Lascio parlare molto – dice il romanista – ed è quando mi trovo con la melma fin sotto il naso che mi esce qualcosa in più». Ieri si è presentato a Trigoria col suo cane e un cellulare bollente. Tra i tanti complimenti ricevuti ha apprezzato in particolare quello di un avversario, Piquè, che ha definito quel pallonetto da 50 metri «un gol pazzesco, uno dei più belli che ho mai subìto». I catalani si inchinano anche sulle colonne del Mundo Deportivo: «Per un secondo Florenzi è stato Pelé». I francesi dell’Equipe lo definiscono «Magnifique», in Danimarca addirittura due giocatori del Copenaghen si sono sfidati nel «Florenzi Challenge» provando a imitarlo in allenamento.
Il papà di Alessandro, con l’ironia del figlio, la sua esultanza: «Mi avevano dato per morto perché mi sono cascati gli occhiali e mi ero chinato per raccoglierli. Tutti pensavano stessi male». No, Gigi sta benissimo, ma avverte il ragazzo: «Ora non deve montarsi la testa. Io lo chiamo sempre “somaro” apposta». La madre Luciana va sul tenero: «Alessandro è un cuore di mamma, e basta. Ci ha fatto sognare». A nonna Aurora ci aveva pensato direttamente Florenzi, salendo ad abbracciarla in tribuna dopo il gol al Cagliari. Immagine indelebile, a tal punto che mercoledì notte su Twitter la parola «nonna» era la più ricorrente insieme a «magia» nei tweet celebrativi del gol. Se ne riparlerà lunedì, quando lo stesso Florenzi presenterà da testimonial la festa dei nonni del 2 ottobre.
Prima, però, c’è da battere il Sassuolo. La Roma vista contro il Barcellona «per spirito collettivo mi ha ricordato una squadra che l’anno scorso ha quasi vinto il triplete», dice il veterano Keita pensando alla Juventus. Parole da intenditore.