(D.Luciani) – Eusebio Di Francesco e il turnover sono le bestie nere di Rudi Garcia. Tre scontri all’Olimpico col tecnico abruzzese e tre pareggi per il francese che si complica la vita con la rotazione dei giocatori. Per concedere minuti di riposo a Dzeko e Florenzi, finisce per schierare giocatori stanchi (Rudiger su tutti), completamente fuori forma (Maicon) o appena rientrati da un infortunio come Pjanic, fisicamente bollito dopo un’ora. La Roma finisce nell’auto-trappola del suo allenatore: impossibile attuare il 4-3-3 con una squadra lunga su 60 metri dopo venti minuti. Giusto concedere un turno di riposo a Digne, pessima gara di un Torosidis tatticamente indisciplinato. E così il Sassuolo, sempre ordinatissimo e corto in campo, finisce per passare due volte in vantaggio sfruttando i tremendi movimenti difensivi dei giallorossi. Defrel annienta un Rudiger frastornato e Politano, giocatore in prestito proprio dalla Roma, trova la massima libertà per segnare il suo primo gol in A. L’assenza di Szczesny denota un’assoluta mancanza di sicurezza dei difensori, con De Sanctis poco reattivo su entrambe le conclusioni che lo trafiggono. Prestazione negativa anche per Iturbe, ritornato solista a testa bassa: uscito subito dopo il 2-2 di Salah, esplode di rabbia (verso sé stesso o Garcia o entrambi?) andando negli spogliatoi dopo aver scalciato qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Un errore di Consigli consente a Totti (in fuorigioco) di realizzare il gol n°300 con la maglia della Roma in gare ufficiali e solo una gran conclusione al volo di Salah su una respinta da angolo riesce a rimettere in carreggiata i giallorossi. Tardivi gli inserimenti di Florenzi e Dzeko, col bosniaco entrato al posto del capitano, sicuramente più tonico e lucido di Nainggolan e Pjanic. Unici a tenere in piedi la baracca Manolas e De Rossi, oltre all’indiavolato Salah.
Al resto ci pensano Massa e Calvarese che all’89’ non fischiano un netto rigore su Rudiger, strattonato sulla linea di fondo da Peluso. D’altronde, due arbitri così scarsi non si migliorano l’un l’altro ma elevano a potenza la propria mediocrità.