“Le squadre materasso non esistono più”. Questo è il pensiero di Antonio Conte dopo la vittoria di misura, nata da un gol irregolare di mano di Pellè dopo 70 minuti fermi sullo 0-0, contro Malta. Sarà ciò che il c.t. pensa veramente, o ciò che dà in pasto ai cronisti? Questo non è dato saperlo, ma sorge spontanea un’altra domanda: sono le squadre materasso a non esistere più o è l’Italia che si è smarrita?
La generazione di Totti, Del Piero, Nesta, Maldini, Cannavaro è finita, eccezion fatta per il capitano giallorosso, Pirlo e Buffon. Le nuove generazioni, purtroppo, non sono riuscite a trovare il giusto spazio, anche perché prive del talento dei predecessori. Neanche la convocazione di quelli che una volta venivano chiamati oriundi ha portato benefici, forse semplicemente perché, come molti stranieri che sono approdati in Serie A, non sono forti.
Inoltre, non bisogna dimenticare che il massiccio arrivo di giocatori di ogni continente nel campionato italiano ha tolto posto a molti giovani italiani, che non riescono ad esplodere o a ottenere un posto da titolare, il che si ripercuote sulla Nazionale.
La restrizione della Lega Calcio che limita a 25 i giocatori di una squadra(di cui 4 cresciuti in Italia e 4 cresciuti nel vivaio della società che li tessera), non è servita ad invertire la tendenza. Nella loro lista l’Inter e il Napoli hanno inserito 20 calciatori stranieri, alcuni dei quali cresciuti in Italia e quindi validi ai fini delle liste, ma questo non fa certo bene alla Nazionale. Anche la Roma ha un organico fortemente cosmopolita, con 17 giocatori stranieri, mentre la Juventus 16. Ai vertici del calcio italiano, quindi, ci sono squadre fortemente “straniere”.
Purtroppo per l’Italia, il declino è cominciato tanti anni fa, quando la generazione dei fenomeni cominciava a ritirarsi: chi dalla Nazionale, chi del tutto. Il mondiale 2006 è stato il coronamento di un’epoca: Totti, Del Piero, Nesta, Cannavaro, Buffon, Pirlo, Zambrotta, giocatori cresciuti negli anni ’90 che hanno ormai progressivamente lasciato la Nazionale e il calcio che conta.
Fare un confronto tra la Nazionale di oggi, quella di 10 anni fa e quella di 20, mette spavento. Dando un’occhiata agli attaccanti convocati per le gare contro Malta e Bulgaria possiamo annoverare Candreva, Eder, El Shaarawy, Gabbiadini, Giovinco, Immobile, Pellè, Vazquez e Zaza. Non proprio un parco attaccanti di lusso.
Tornando indietro di dieci anni la musica cambia, e di molto. Il 3 settembre 2005, la nazionale di Marcello Lippi era impegnata nel girone di qualificazione per il mondiale tedesco, e stavolta era il turno della Scozia. I convocati per quella gara erano Totti, Del Piero, Toni, Vieri, Gilardino e Iaquinta. Togli Vieri, aggiungi Inzaghi ed ottieni l’equazione dei campioni del mondo 2006.
Per farci ancora più male, andiamo indietro di 20 anni, ad Italia-Slovenia, 6 settembre 1995. Gli azzurri si dovevano qualificare per l’europeo inglese del ’96. Anche in questo caso la nostalgia e la classe avvolgono la lista dei nomi: Roberto Baggio, Zola, Signori, Del Piero e Ravanelli. I primi 3 l’anno precedente aveva raccolto la medaglia d’argento ad USA ’94, mentre gli altri due nel ’96 alzavano al cielo la Champions League contro l’Ajax.
Altri tempi, altri giocatori. Per non parlare dei difensori e senza dimenticare tutti quei gregari che, come si dice, “portavano l’acqua”. Oggi, invece, si punta tutto su calciatori stranieri, portati in blocco ancora giovanissimi dal Sud America o dai Balcani. Campioni o no non importa, spesso basta il nome straniero per un posto in squadra.
Di Matteo Isidori