(S. Carli) – Arriveranno a gennaio i nuovi decoder che permetteranno a Mediaset di vendere le sue partite di calcio della Champions League anche agli utenti della tv via satellite. E il segnale che la guerra della pay tv che infuria dall’estate tra il Biscione e Sky sta andando verso una ulteriore escalation.
Andare sul satellite per Mediaset è una mossa molto rischiosa. Perché se ne vedono i costi ma meno, al momento, i vantaggi. Ma la decisione è seria. E il primo segnale è che stavolta i decoder non sono prodotti di fascia medio bassa, come accaduto spesso in passato. No, stavolta a Cologno vogliono poter contare su una “macchina” di qualità. E l’hanno infatti commissionata alla Samsung. Premium, la pay tv di Mediaset, è lo snodo attorno a cui ruotano le strategie del gruppo. Nel senso che è un problema e una scommessa. Numeri di dettaglio non vengono dati ma in compenso ci sono schiere di analisti pronti a sbizzarrirsi in stime e previsioni. Che divergono anche di molto ma non su un punto: fino al 2017 non produrrà utili. Magari non saranno i 400 milioni di ebit negativo cumulato di cui parla un report di Enders Analysis, particolarmente negativo visto che non vede un risultato positivo neanche nel 2017-18, ma anche analisti e addetti ai lavori più vicini alla famiglia Berlusconi, che vedono le cose più rosee, non vanno oltre una stima di un ebit cumulato nei tre anni prossimi negativo per 200 milioni. Cifra confermata anche da un’analisi di Equita.
Nel frattempo sul “campo” ossia alla conta degli abbonati, la sfida tra Premium e Sky è in una fase di equilibrio. Premium parla di 112 mila abbonati in più a settembre, che rendono l’obiettivo di 1,9 milioni a fine anno ormai quasi in tasca e giustifica i 2,3 milioni di utenti nel 2018 che dovrebbero significare, il primo bilancio in utile. Ma Sky, per parte sua non sembra al momento soffrire troppo la perdita della Champions. In Italia ha perso 37 mila utenti su 4,5 milioni e soprattutto su una previsione di un calo più consistente (45 mila). Da Sky si sottolinea come la maggior parte degli abbonati persi siano utenze business (soprattutto bar e ristoranti) e pochissime famiglie. E questo dato collima con quanto fanno sapere da Cologno Monzese dove festeggiano il “sorpasso” su Sky proprio negli abbonamenti collettivi dei bar. In mezzo a questa disfida di numeri è poi piombato il caso Auditel: da una settimana il mercato tv italiano è privo di dati sull’audience dopo il clamoroso errore di un addetto della Nielsen che ha di fatto reso accessibili i nomi delle famiglie presso cui vengono rilevati gli ascolti tv. Non sapremo quindi quanti spettatori hanno pagato per vedere le partite di Juve e Roma e quanti invece quelle in chiaro trasmesse da Italia 1 e Italia 2 e che nelle prime due tornate di gare erano apparsi in calo.
Ma la vera partita non si gioca sugli abbonati, bensì sui prezzi. I due contendenti stanno battagliando a colpi di offerte e di supersconti e questo rende difficile capire quanto l’investimento da 700 milioni in tre anni con cui Mediaset ha sfilato la Champions a Sky abbia funzionato oppure no. Bisognerà aspettare fine dicembre per avere chiaro quanti utenti del calcio ha conquistato Premium, quanti ne ha persi Sky e se complessivamente la sfida tra le due tv e il calo dei prezzi che sta portando avrà creato o no un aumento del pubblico complessivo. E bisognerà aspettare la metà del 2016, quando si sarà diradata la nebbia di offerte e controfferte, per capire a quanto Mediaset stia effettivamente vendendo le sue partite. I dati ad oggi danno un quadro ambiguo. Un anno fa Mediaset era accreditata di un arpu (la spesa mensile media per utente) di 23 euro e le prospettive di Premium erano di non coprire i costi. Dall’estate, quando ha messo sul mercato il pacchetto calcio, lo ha lanciato a un prezzo pieno di 46 euro. Poi però sono iniziate le offerte che lo hanno dimezzato. E ora ci sono sconti fino a 19 euro al mese per i primi mesi.
Impossibile fare i conti. Le previsioni degli analisti più ottimisti, in linea più o meno con quelle ufficiali del gruppo, prevedono che al giugno 2018, quando sarà terminato questo triennio di diritti sia della Champions che della Serie A, l’arpu sarà arrivato a 30 euro al mese. Ma la strada è lunga e in salita (senza contare le inchieste sui diritti per la Serie A). Basta fare il confronto con Sky che mercoledì scorso ha resto nota la sua trimestrale. Per l’Italia, assieme al calo dei 37 mila utenti, registra anche un calo dell’arpu di un euro. Ma si scende da 43 a 42 euro al mese. E ha ancora margini di manovra. Sky Deutschland, per dire, che ha portato a casa una crescita di utenti dell’11%, ha un arpu di 34 euro. E dall’Inghilterra, il mercato top di Sky, dove l’arpu è tuttora altissimo sopra le 40 sterline, si è addirittura registrato un lieve aumento.
I mercati, che tendono spesso a restare concentrati sul breve periodo, hanno apprezzato per ora l’aggressività di Mediaset. ll titolo è vicino ai massimi degli ultimi 15 anni e ha avuto un brusco scivolone a inizio ottobre solo quando si è saputo che Marina Berlusconi aveva venduto azioni del Biscione per 7 milioni di euro di controvalore. Ma è rimasto un segnale isolato e il titolo è da allora in ripresa. D’altra parte la quotazione risente anche positivamente della complicata vicenda Telecom, dove la salita al 20% di Vincent Bollorè ha ridato fiato alle voci di megaoperazioni in grande stile nel triangolo Telecom-Vivendi-Mediaset. Ma c’è un rovescio della medaglia che circola tra gli addetti ai lavori del settore tv ed è meno tranquillizzante. C’è il dubbio che qualcosa non vada proprio nel verso voluto a Cologno. L’ipotesi più negativa che circola a mezzabocca è che il Biscione potrebbe aver fatto il passo un poco più lungo della gamba con quest’affare del calcio. Ovviamente si procede per indizi. E il primo è che è strano che Mediaset abbia fatto un’offerta così alta per soffiare la Chaimpions a Sky per poi intavolare subito una trattativa con la stessa Sky per arrivare a un accordo. Trattativa che si sarebbe conclusa in tarda primavera in un albergo di Londra dopo che Sky non solo avrebbe rifiutato di comprare Premium al prezzo proposto di un miliardo (validato dall’ingresso di Telefonica con un 10% pagato 100 milioni). Ma avrebbe ancherifiutato di arrivare ad una spartizione della Champions con un meccanismo però diverso da quello usato fino all’anno scorso nella Serie A e che non ha avuto buoni effetti, come si è visto, nei conti di Premium. A quel punto dentro il Biscione avrebbe preso il sopravvento il partito dell’orgoglio di bandiera e sarebbe stata dichiarata la guerra alla pay tv di Murdoch. Girano anche voci che la divisione di posizioni negoziali dentro Mediaset vedesse l’ad di Premium Franco Ricci tra le colombe mentre Marco Giordani, cfo di gruppo e ad di Rti, la subholding degli asset italiani, tra i falchi. Ma sono voci, appunto. Certo è che l’asta si è tenuta nel febbraio 2014. Mediaset vi si è aggiudicata i diritti esclusivi per l’Italia, sia sul terrestre che sul satellite. E visto il prezzo pagato, la concorrenza, i non buoni risultati di Premium alle spalle, può suonare strano che non abbia cercato da subito il modo di valorizzare i diritti satellitari.
Fonte: Repubblica – Affari&Finanza
Cosa che deve invece fare ora e di corsa: il decoder è il primo passo, ora dovrà costruire un pacchetto di offerta con la sola Champions (la Serie A via satellite è esclusilva Sky) e con altri contenuti, film o fiction. Ma un conto è fare la pay con una decina di canali terrestri, un conto il satellite: servono più contenuti. E costano. Nel frattempo l’accordo con Google appena raggiunto mercoledì scorso potrebbe portare qualche frutto sul versante online, ma ci vorrà tempo. La tv on demand di gruppo Infinity, in sostanza una Netflix made in Cologno, ha raggiunto, nelle dichiarazioni aziendali, i 500 mila abbonati paganti, ma paganti un prezzo di 5 euro al mese che, se restassero costan ti, assicurerebbero ricavi per 30 milioni l’anno. Però ora la concorrenza qui non è più solo Tim Vision di Telecom o la Chili Tv di Stefano Parisi, ma proprio Netflix, che da giovedì scorso ha aperto ufficialmente in Italia. Anche non dovesse fare risultati esplosivi è probabile che bloccherà o rallenterà di molto la crescita degli altri. A meno che Mediaslet non acceleri gli investimenti sui contenuti. Ma non del calcio che, come sottolineano tutti, ha un grosso handicap: ogni tre anni i diritti si azzerano e si riparte con una nuova asta, solitamente più costosa, mentre il numero delle partite e anche quello degli utenti resta più o meno lo stesso. Insomma, per diventare una vera Media Company la via per Mediaset è lunga: c’è ma è in salita. E il recupero del mercato pubblicitario italiano non è più sufficiente, anche se la raccolta è data in crescita nei prossimi 3-4 anni. La tv in chiaro non è morta, sicuramente non verrà uccisa da Netflix, almeno non nell’immediato. Ma non è più quel pascolo esclusivo del Biscione che era fino a qualche anno fa. Sky continua con le sue azioni di disturbo, l’ultima l’acquisto da Mtv del tasto 8 del telecomando. Discovery continua a crescere nella raccolta pubblicitaria, dove ha già superato Cairo e La7. E la riforma della Rai promette di fare di Viale Mazzini un concorrente non più così sedato come una volta. Certo, partire con una quota di mercato del 60% di tutti gli spot che passano sulla tv italiana è un bel blocco di partenza. Ma oggi non basta più chiamarsi Mediaset. E pub essere una sfida di mercato affascinante.