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LA REPUBBLICA San Siro, serata di gala: Inter e Roma si giocano il primato del pallone

Gervinho
Gervinho

(A. Sorrentino) Che gli opposti si attraggano è un fatto indiscutibilmente vero, ma solo se ci infilassimo nei meandri della fisica, e ci mettessimo a disquisire di campi elettromagnetici. Occupandoci di solito di ben più prosaiche questioni, possiamo invece affermare che nella vita di tutti i giorni o su un campo di calcio gli opposti si respingono, si scontrano, vanno in disamore e in disaccordo che è una bellezza, spesso producendo storie di un certo interesse, mai noiose, sempre pepate. Per questo stasera è lecito attendersi che Inter e Roma, seconda contro prima, miglior difesa contro migliore attacco, pesantezza di muscoloni contro leggerezza e fantasia, e ovviamente, più che mai in questo periodo, Milano contro Roma, si respingeranno con gran fragore drammaturgico, e dall’esito del cozzo sapremo un po’ di più di questo campionato senza padroni, ma con padroncini che vanno prendendo via via confidenza con l’aria rarefatta dell’alta classifica.
Si fosse giocata un mese fa, la partita avrebbe avuto una favorita obbligata, l’Inter, che dopo cinque partite era a punteggio pieno con le sue già proverbiali vittorie di misura, mentre la Roma scivolava a -7. Ma dopo un altro minilustro di cinque gare la situazione s’è rovesciata: le cinque vittorie consecutive le ha piazzate la squadra di Garcia, spesso largheggiando con perfidia (5 gol al Carpi, 4 al Palermo, 3 a Empoli e Udinese), mentre l’Inter ha frenato dopo lo choc dell’1-4 con la Fiorentina e ora si ritrova a -2, lepre un po’ fradicia e intirizzita, con molti dubbi sulla reale efficacia del suo gioco, tutto difesa e clangore di ferraglie addosso agli avversari. Un’impostazione che Mancini aveva studiato fin dall’estate, pensando di contrapporsi così alle grandi del campionato, mentre contro le avversarie medio-piccole che ti costringono a creare gioco, il rischio è di mostrarsi più brutti di quello che si è. Per questo il Mancio pensa che la Roma possa essere l’avversario ideale come test di maturità, per capire se gli equilibri tra la difesa quasi impenetrabile e l’attacco da un miserello gol a partita si stiano finalmente assestando: “Se lasci spazio alla Roma, alle sue ali e alla sua velocità, ti mette in grossa difficoltà. Non dovremo permetterlo”. Quindi forse medita di rinunciare al possesso palla insistito per provare a stanare l’avversario, tentando lui il contropiede, visto che 10 gol-letti in 10 partite sono davvero poca cosa: “Mai capitato di segnare così poco…”, si lagna Mancini, prima di inviare stoccate ben meditate al laconico Icardi di questi tempi, mogio e isolato, non il primo caso di capitano non esattamente saldato alla propria ciurma, anche se non siamo certo (non ancora) sul Bounty: “Icardi, come tutti gli attaccanti, tende a trovare delle scuse. Lo facevo anche io, ma non è vero che ha ricevuto quattro palloni finora: ha avuto quattro palle gol solo a Palermo. E quando non arrivano i palloni, i giocatori devono andare a cercarseli. Comunque secondo me è solo questione di tempo, come per l’intesa con Jovetic”. Intanto Icardi stasera rischia la panchina (Ljajic è in preallarme per un tridente tutto balcanico), con decisione in extremis.
In fondo il problema del centravanti è una delle due cose in comune con la Roma, che ha un Dzeko ancora a singhiozzo e una proprietà straniera come l’Inter, e assai poco italiane sono anche le squadre: Florenzi e De Rossi da una parte, Santon dall’altra, il resto è un arcobaleno di etnie. La Roma si gode il primato che conta per lo spirito, meno per la consistenza del vantaggio, niente tenendo conto che siamo alla decima. Un primato fresco di appena due turni, con gruppo rinsaldato (il preparatore atletico Darcy Norman twitta un emblematico “La forza del lupo è nel branco”) e condizione fisica ritrovata, oltre a un Maicon (ultimo superstite del Triplete interista) che contro l’Udinese è tornato devastante: “Se gioco, per me non sarà una partita normale, né potrebbe mai esserlo”.
La duplicità della Roma, che a Firenze ha saputo difendersi in massa quasi snaturandosi, è la sua principale dote in questa fase. Quella dell’Inter è l’entusiasmo di ritrovarsi di colpo a giocare partite potenzialmente da scudetto, dopo anni di magra, ma ha meno certezze, è squadra appena formata. Nella notte di Halloween qualcuno, alla fine, dovrà calare la maschera.

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