(G. Dotto) Il manicomio non va mai in vacanza quando c’è di mezzo la Roma. Va negli spogliatoi sul 2 a 0 e potevano essere quattro o cinque, Roma da sogno, il Bayer tagliato a fette come un cotechino. Rientrano e sono undici larve. Peggio, non sono mai rientrati, sono rimasti nell’anfratto del thè caldo.
I tedeschi diventano belve. Sentono l’odore del sangue. Aggressivi su ogni cosa che somiglia a una palla. Sei minuti, guardi il tabellone, ascolti Piccinini e non ci credi, sei sul 2 a 2 e rischi di andare sotto. In dieci minuti la Garcia Band colleziona un numero impressionante di sfondoni calcistici.
Debilitati dalla paura, dallo scoprirsi mediocri e vulnerabili, ma soprattutto dalla replica infinita di uno spettacolo senza senso, di essere grandi e infimi negli stessi novanta minuti. E, dunque, copione già scritto, il tempo che passa e l’orgasmo che sporca e appanna tutto. Le scelte sbagliate. Ma l’anima c’è.
Dal mischione dove mancano solo le baionette la palla sguscia a due centimetri di Leno, eccellente portiere tedesco, si materializza Salah per l’ovvia correzione e qualcuno da dietro lo scaraventa via, insaccandolo nella rete, l’egiziano come fosse cuoio.
Il rigore di Pjanic, a dieci minuti dalla fine, è uno psicodramma. A partire da Florenzi, nel frattempo panchinato, sotterrato in un cappuccio penitenziale e accovacciato in posizione fetale nelle braccia di un assistente. La palla di Pjanic passa sotto la sagoma in volo del portiere. Il resto è sofferenza romanista da manuale.
Sintesi. La Roma torna a dirsi credibile la qualificazione, fondamentale per evitare l’infernale prospettiva di finire nella faticosissima cayenna dell’Europa League, a bruciare energie preziose che servirebbero in campionato. Squadra di accecanti bagliori, sotto i quali non c’è uno scheletro vero. E questo, a gennaio, non si compra sul mercato. Ma già mettere le mani su un difensore personalità extrastrong aiuterebbe.