(S. Carina) – Senza voler scomodare Einstein («Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato») il dato che vede Dzeko fermo ad un solo gol in stagione (alla Juventus, il 30 agosto) è abbastanza anomalo. In primis perché la Roma è comunque la regina della serie A in attacco (25 reti) e poi perché mettere in discussione un talento come quello del bosniaco appare quantomeno bizzarro. L’inizio stentato dell’ex City ha tra l’altro qualche giustificazione: Edin è arrivato in un campionato nuovo e ha bisogno di un minimo di rodaggio; è stato fermo un mese per un problema al collaterale del ginocchio destro e se è vero che ha disputato 11 partite (comprese le due di Champions), va anche rimarcato che i minuti effettivamente giocati sono stati 741 il che equivale a 8 gare con annessi recuperi. Per carità, una rete in 8 partite è/sarebbe sempre poco ma al netto dei gol segnati c’è anche il lavoro oscuro del calciatore, il fatto che con lui in campo la Roma subisce meno (in campionato 9 gol in 9 gare), è più equilibrata e ha la possibilità di alzare il pallone, fatto inedito nel triennio di Garcia. Tutto vero. Poi però alcune statistiche riportano alla cruda realtà dei fatti: Dzeko è l’attaccante (tra quelli già andati in gol in stagione) con la media realizzativa più bassa (4%) della serie A (dati Opta).
L’altra sera, contro l’Inter, ha dato l’idea di procedere con un passo frenato. Lento nei movimenti, nell’istinto da uomo-gol quando si è fatto contrastare da D’Ambrosio a due metri dalla linea di porta o quando in area è saltato più in alto di tutti ma non è riuscito ad angolare il suo colpo di testa, e soprattutto macchinoso nel mettersi in moto. A tal punto che Garcia, pur essendo rimasto in dieci e dovendo prevedere un finale all’attacco, lo ha tolto. A fine gara, il tecnico ha scattato la fotografia più nitida: «Edin ha bisogno di giocare per ritrovare l’accelerazione nei primi metri che gli consentirà di arrivare prima sul pallone. Spesso era da solo ma non dobbiamo solo fare cross per lui». Rudi dice una grande verità. Perché vedendolo così alto (193 centimetri) c’è la consuetudine a cercarlo spesso e volentieri con i palloni alti. Ma Dzeko non è un ariete: segna (anche) di testa ma è un calciatore che ama avere il pallone tra i piedi per partecipare alla manovra. A volte, anche eccedendo, perché nella sua avventura romana rischia di trasformarsi più in un uomo-assist (come nella ripresa con l’Inter, quando anziché cercare la conclusione su invito di Maicon, come avrebbero fatto nove centravanti su dieci, ha provato intelligentemente a servire Pjanic) che in un terminale d’area. La sensazione, comunque, è che vada servito diversamente. Per intenderci: ricordate il gol nell’amichevole di agosto con il Siviglia? Minuto 4: Maicon vince un contrasto e lancia il bosniaco. Dzeko con il solo movimento del corpo elude la marcatura del difensore, lasciando scorrere il pallone. Poi con un diagonale dal vertice dell’area non lascia scampo al portiere. Edin è semplicemente questo. Che sia di destro, di sinistro, in acrobazia o con il tiro da fuori, i gol li ha sempre fatti. L’importante è sia servirlo nel modo a lui più consono e che possa ritrovare la migliore condizione il prima possibile.